Prost e Senna, protagonisti di una delle più grandi rivalità della F1
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F1

Le rivalità più feroci della Formula Uno

Lauda contro Hunt, Prost contro Senna, Schumacher contro Hakkinen: ecco i duelli indimenticabili che hanno marchiato a fuoco decenni di storia della Formula 1
Di Stefano Nicoli
23 minuti di letturaAggiornato il
Palcoscenico patinato e velocissimo di battaglie tra i cordoli ed intrighi nei box, il mondo della Formula Uno è teatro ormai da anni di rivalità epiche. Alcune di esse si esauriscono con la stessa rapidità con cui sono nate. Altre invece, alimentate dal fuoco che arde nei cuori dei piloti che ne sono protagonisti, sopravvivono per mesi, stagioni, anni. E sono queste, quelle che nutrono i sogni e la passione di milioni di tifosi sparsi in tutto il mondo, a diventare eterne.
Abbiamo raccolto alcune tra le rivalità più aspre della storia della Formula 1: ecco quelle che secondo noi hanno segnato più in profondità il pinnacolo del Motorsport.

1. James Hunt vs Niki Lauda

Quella andata in scena tra l'austriaco e il britannico è forse una delle rivalità più viscerali che si siano mai viste in Formula 1. Il confronto tra i due, ideologico ancor prima che sportivo, è stato stigmatizzato e portato alle luci della ribalta da Rush, pellicola del 2013 che rappresenta ormai un must per ogni appassionato del Circus. L'irruenza e l'istintività di James Hunt contrapposta alla razionalità ed al tecnicismo estremo di Niki Lauda, in uno scontro tra universi paralleli che ha pochi eguali nella storia dello sport.
L'uno in Ferrari, l'altro in McLaren, entrambi si erano presentati ai nastri di partenza della stagione 1976 di Formula 1 come pretendenti al titolo. Quasi protagonisti di un duello cavalleresco fatto di stoccate ed affondi, l'austriaco ed il britannico si scontrarono a viso aperto sino alla gara che fu crocevia dell'intera stagione: il GP di Germania, disputato tra le cicatrici d'asfalto dell'Inferno Verde. Il 1° agosto 1976, mentre era immerso tra le viscere del Nürburgring, Niki Lauda fu protagonista di uno degli incidenti più terrificanti della storia della Formula 1: prigioniero inerme di una Ferrari tramutatasi in pira fumante, l'austriaco si salvò miracolosamente grazie all'intervento di piloti e soccorsi pur riportando ferite gravissime.
Una foto delle Leggende della Formula 1 Niki Lauda e James Hunt

Niki Lauda e James Hunt

© Phipps/Sutton Images Collection

Incredibilmente, nonostante le severe ustioni al volto e al resto del corpo, Lauda saltò solo due gare: l'austriaco tornò in pista a Monza, in occasione del GP d'Italia, e conquistando il 4° posto arginò il prepotente ritorno di Hunt in classifica. Lasciatisi alle spalle i round di Mosport e Watkins Glen, i due rivali giunsero separati di soli 3 punti all'ultimo appuntamento del campionato: il GP del Giappone, da disputarsi sullo scenografico circuito del Fuji.
Fu lì, sotto il fortunale che si scatenò alle pendici del più famoso vulcano del Sol Levante, che si consumò il destino di Niki Lauda e James Hunt. L'austriaco dopo soli due passaggi decise di ritirarsi e la palla, a quel punto, passò tra le mani di un James Hunt a cui sarebbe bastato solamente un 3° posto per laurearsi Campione del Mondo: in lotta contro se stesso e contro la pioggia sferzante che si abbatteva sul Fuji Speedway, il britannico occupò la testa della corsa fin quando, a soli 4 giri dal termine, non fu costretto ad effettuare un pit stop che lo fece arretrare sino alla 5^ posizione. Chiamato a quella che sembrava un'impresa impossibile, Hunt diede fondo a coraggio, abnegazione e talento rendendosi protagonista di uno dei finali di gara più epici della storia della Formula 1: in un turbinio di flutti, la McLaren del britannico si liberò in soli due giri delle vetture di Jones e Regazzoni andando così a conquistare l'agognato 3° posto che consegnò a lui il Mondiale ed il duello con Lauda alla Storia.

2. Mark Webber vs Sebastian Vettel

"Il tuo compagno di squadra è il primo avversario da battere". Questo mantra, famosissimo in qualsiasi categoria del Motorsport, lo conoscono fin troppo bene Sebastian Vettel e Mark Webber, gli uomini simbolo del dominio quadriennale che la Red Bull Racing ha saputo costruire tra le stagioni 2010 e 2013. Il tedesco e l'australiano, costretti a convivere sotto lo stesso tetto in una scuderia che stava rapidamente scalando i ranghi della Formula 1, hanno dato vita a una delle rivalità più accese della storia recente del Circus.
È in corso la stagione 2010. La F1, in un Mondiale che vede la Ferrari di Fernando Alonso lottare contro entrambe le veloci Red Bull RB6, fa tappa ad Istanbul Park per il GP di Turchia. La rivalità tra Vettel e Webber esplode in maniera dirompente durante il 40° passaggio: l'australiano è in testa alla corsa, con alle spalle l'arrembante Vettel che è a propria volta inseguito da un Hamilton che incalza. Il tedesco, desideroso di scrollarsi di dosso l'ingombrante pressione dell'inglese, decide di azzardare il sorpasso sul compagno di squadra in Curva 12. La manovra è rischiosa, e i peggiori incubi della Red Bull Racing si materializzano in pochissimi istanti: la vettura di Webber e quella di Vettel si toccano, si danneggiano, finiscono fuori pista. Per il tedesco è addirittura gara finita, per l'australiano è gara solo rovinata. Per il team, invece, è un rapporto tra compagni di squadra ormai del tutto lacerato.
Con il cursore del mouse pigiamo infatti il tasto "avanti veloce" sulla Storia. È la stagione 2013: nonostante i tentativi di Webber - che, tra le altre cose, nel 2010 vinse il GP d'Inghilterra festeggiando con il polemico team radio "Non male per un numero 2!" -, Vettel è ormai il mattatore della Formula 1. Sono già tre i Mondiali conquistati dal biondino di Heppenheim quando il Circus approda in terra malese, sull'asfalto di Sepang, per la sua seconda tappa stagionale. La RB9 è nuovamente l'auto da battere, e Sebastian Vettel e Mark Webber sono ancora una volta consapevoli di essere gli unici a potersi davvero giocare l'Iride.
Un immagine di Sebastian Vettel davanti a Mark Webber durante  il Gran Premio F1 di Malesia al Sepang Circuit di Kuala Lumpur

Sebastian Vettel in testa a Mark Webber al Gran Premio di Malesia del 2013

© Getty Images / Red Bull Content Pool

È in corso il 43° giro di una gara rocambolesca. L'australiano guida la corsa davanti al tedesco quando, dal muretto, gli uomini Red Bull mandano ad entrambi i piloti il seguente messaggio: "Multi-21". Come spiegherà pochi giorni dopo Christian Horner, Team Principal della scuderia, la comunicazione invitava i piloti a mantenere le rispettive posizioni: l'auto numero 2 (quella di Webber) sarebbe dovuta rimanere davanti a quella numero 1, guidata invece da Vettel.
Fu proprio quest'ultimo a non voler sentire ragioni. Lanciatosi ventre a terra all'inseguimento di un compagno di squadra che non si aspettava probabilmente una reazione così veemente, il tedesco attaccò ripetutamente l'australiano fin quando, nel corso del 46° passaggio, non riuscì ad avere la meglio sulla sua resistenza involandosi verso la vittoria. Fu in quel momento - e in un retro podio dal clima raggelante - che si consumò la definitiva disfatta di Mark Webber. Che forse, proprio a seguito di quello che percepì come uno sgarbo (dato che la Red Bull non si prese neppure la briga di punire Vettel per aver violato l'ordine di scuderia), maturò dentro di sé la decisione di ritirarsi a fine stagione.

3. Lewis Hamilton vs Fernando Alonso

Ci sono due immagini che tornano alla mente di ciascun appassionato di Formula 1 quando si nomina la stagione 2007. La prima, con ogni probabilità, è quella che vede Kimi Raikkonen intento a festeggiare il suo primo e unico Titolo Mondiale tra i coriandoli argentei del podio di Interlagos. La seconda, altrettanto probabilmente, è sempre a tinte argentate ma vede stavolta protagoniste le due McLaren. Inspiegabilmente ferme, una dietro l'altra, nella pit lane dell'Hungaroring mentre la fine delle qualifiche si avvicina inesorabile.
Siamo nell'1 d.S., il primo anno successivo all'iniziale ritiro di Michael Schumacher. In Ferrari, al posto del Kaiser e al fianco di Felipe Massa, è approdato Kimi Raikkonen. A bordo della F2007 il finnico e il brasiliano sono pronti a vedersela con i due nuovi piloti della McLaren-Mercedes: Fernando Alonso, fresco vincitore di due Titoli Mondiali consecutivi, e Lewis Hamilton, esordiente velocissimo e pupillo di Ron Dennis del quale si parlava benissimo sin dalle serie minori. Sulla carta, agli inizi di una stagione che passerà alla storia anche per la Spy Story che vide coinvolte proprio Ferrari e McLaren, lo scontro intestino a Woking non avrebbe proprio ragion d'essere. Da un lato c'era un due volte Campione del Mondo, l'uomo che assieme alla Renault era riuscito ad interrompere l'egemonia di Michael Schumacher e della Scuderia Ferrari; dall'altro c'era invece un esordiente, un ventiduenne di belle speranze con ancora tutto da dimostrare.
Che sotto il casco giallo di Lewis Hamilton ci fosse però qualcosa di più di un semplice rookie alle prime armi se ne resero tutti conto già dal GP d'Australia, gara inaugurale di una stagione per certi versi indimenticabile. Sul podio salirono in tre: Kimi Raikkonen, Fernando Alonso e Lewis Hamilton. Che chiuse con un 3° posto il primo Gran Premio della sua vita facendo così capire al più esperto asturiano che il ruolo di prima guida, in McLaren, era tutto tranne che assegnato a priori. Sepang, Sakhir, Montmelò e Monte-Carlo: 4 GP, altrettanti secondi posti per Lewis Hamilton, che dovette attendere la sesta gara dell'anno - il Gran Premio del Canada - per conquistare la prima vittoria in carriera. In McLaren, a quel punto, era guerra aperta: con Kimi Raikkonen che pareva aver perso contatto per via di un ritiro in Spagna, i due alfieri di Woking capirono di avere le carte in regola per giocarsi il Mondiale.
Lewis Hamilton e Fernando Alonso

Lewis Hamilton e Fernando Alonso

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Le scintille tra i due aumentarono man mano che la stagione avanzava, fino a divampare in un incendio inarrestabile durante le qualifiche del Gran Premio d'Ungheria. Quando mancavano solamente pochi minuti allo sventolare della bandiera a scacchi, entrambe le McLaren rientrarono ai box per effettuare il proprio cambio gomme. Fernando Alonso imboccò la pit lane per primo, subito seguito da Lewis Hamilton. Fu in quel momento che l'asturiano capì di avere una chance per sabotare le qualifiche dell'inglese e, deliberatamente, decise di rimanere fermo sulla piazzola dei box in attesa che i secondi scorressero inesorabili: voleva assicurarsi che Lewis Hamilton non avesse il tempo di cambiare le gomme, rientrare in pista e lanciarsi per il proprio ultimo tentativo cronometrato.
I meccanici attoniti e il muretto box incredulo lasciarono totalmente indifferente Fernando Alonso, che solamente dopo essere riuscito nel suo intento ingranò la prima involandosi - lui sì - verso l'uscita della pit lane lasciando Hamilton in preda agli improperi più vari. Ron Dennis inseguì a lungo Fabrizio Borra - preparatore atletico dello spagnolo - per chiedere conto di quanto fatto dall'asturiano, ma era già troppo tardi: alle prese con un Lewis Hamilton furibondo e un Alonso furente per le 5 posizioni di penalità ricevute, il pur esperto presidente della McLaren non seppe ricucire la spaccatura creatasi nel suo team. La stessa spaccatura che, a furia di scaramucce e duelli, di lì a qualche mese permise a Kimi Raikkonen di laurearsi Campione del Mondo all'ultimo GP in calendario e con un solo punto di vantaggio tanto su Hamilton quanto su Alonso. Finiti, come nel migliore dei racconti, a pari punti nella stagione che più li vide arrivare ai ferri corti.

4. Lewis Hamilton vs Nico Rosberg

Certe rivalità non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano. Antonello Venditti avrebbe probabilmente modificato così il testo della sua "Amici mai", se avesse visto cosa il destino ha avuto in serbo per Lewis Hamilton e Nico Rosberg: due piloti veloci, anzi velocissimi, le cui traiettorie si sono incrociate innumerevoli volte nel corso della loro carriera.
Le istantanee dei ricordi sbiadiscono, e ci riportano indietro di decenni. Erano gli anni della gioventù di entrambi, dei fine settimana trascorsi a battagliare sui kart con i sogni di gloria che si rincorrevano liberi nella testa. Si trovano tuttora foto, di Lewis e Nico, mentre da ragazzini parlano di chissà cosa l'uno con l'altro: entrambi sorridenti, rivali ma mai nemici anche quando i kart si erano pian piano trasformati nelle monoposto delle Formule minori, davano l'impressione di poter diventare due perfetti compagni di squadra. Decisi, talentuosi, entrambi velocissimi e in grado di andare d'accordo l'uno con l'altro, nel 2012 dovettero sembrare la scelta scontata e perfetta per l'ancora non svezzato team Mercedes AMG Petronas. Alle prese con una Freccia d'Argento ancora spuntata, i due nel 2013 dimostrarono che gli uomini della Stella a Tre Punte avevano visto giusto: una permanenza in squadra pareva possibile. Poi, però, apparve quello che in pochi si aspettavano.
Comparve lei, la W05. La capostipite di una generazione di vetture dominanti, di una stirpe di monoposto che hanno riscritto pagine e pagine di Storia della Formula 1. E con la W05 apparve anche, per entrambi, la possibilità di conquistare il Titolo Mondiale: il primo, quello della realizzazione, per un Nico Rosberg ansioso di scrollarsi di dosso l'etichetta di figlio di papà; il secondo, quello della consacrazione, per un Lewis Hamilton a digiuno da oltre 5 stagioni. E fu lì, in quel 2014, che la patina di tranquillità che pareva aleggiare nel box Mercedes andò irrimediabilmente in frantumi. Esclusivi possessori della vettura più veloce del mondo, Rosberg e Hamilton diedero il via ad una lotta senza esclusione di colpi: in Bahrain, a Monaco, in Russia, in Belgio dove i due arrivarono addirittura al contatto, il #6 e il #44 diedero fondo a tutto il loro talento per cercare di avere la meglio l'uno sull'altro. Sotto i riflettori di Yas Marina fu Hamilton a spuntarla, ma tutto il mondo capì che quello era stato solamente il primo atto di uno spettacolo destinato a durare. Nel 2015, nonostante tutti i tentativi di Rosberg, la classifica di fine anno arrise ancora una volta all'inglese: Hamilton, con addirittura diverse gare d'anticipo, si laureò Campione del Mondo per la terza volta in carriera. Rosberg pareva ormai impotente nei confronti del #44, e forse - dopo quella stagione - persino l'inglese si convinse di ciò. Sbagliandosi però clamorosamente.
Lewis Hamilton e Nico Rosberg prima del decisivo GP di Abu Dhabi 2016

Lewis Hamilton e Nico Rosberg prima del decisivo GP di Abu Dhabi 2016

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Forse sceso in pista con minore intensità mentale rispetto alle annate precedenti, Hamilton si ritrovò alle prese con un Rosberg che non sbagliò nulla. Il #6 conquistò 5 vittorie nelle prime 5 gare della stagione, e avrebbero potuto forse essere sei se le W07 non si fossero eliminate vicendevolmente nel Gran Premio di Spagna. La tensione crebbe di GP in GP, e il duello all'arma bianca andato in scena durante l'ultimo passaggio del Gran Premio d'Austria fu l'apice di uno scontro che si faceva sempre più aspro, sempre più acre: per la seconda volta nell'arco di una stagione due compagni di squadra entravano in collisione senza che nessuno dei due si pentisse di quanto accaduto. Nonostante partenze sbilenche - in Italia e Giappone - e inghippi vari - in particolare durante il Gran Premio d'Azerbaijan -, il #44 in furente rimonta si ritrovò comunque tra le mani il potenziale colpo del KO a Sepang, lì dove al 1° giro un errore Vettel spedì in testacoda prima e in fondo alla griglia poi l'acerrimo rivale Rosberg. La gioia dell'inglese durò però poco: 40 passaggi più tardi, infatti, la Power Unit lo tradì mentre era saldamente in testa, costringendolo a ritirarsi e ad assistere alla rimonta fino al 3° posto di Nico Rosberg. Quei punti andati in fumo assieme al propulsore costarono moltissimo ad Hamilton, che nonostante le vittorie al CoTA, all'Hermanos Rodriguez e a Interlagos arrivò all'ultimo atto della stagione dovendo rincorrere il tedesco. Tutto si decise ancora una volta sotto i riflettori di Yas Marina, lì dove il #44 arrivò a girare diversi secondi più lento del normale - ignorando anche gli inviti ad accelerare che gli rivolgeva il muretto box - pur di lasciare Rosberg nelle grinfie dei rientranti Vettel e Verstappen.
A nulla servirono i tentativi dell'inglese di arrestare la marcia trionfale di Rosberg, che sotto i fuochi d'artificio dell'ultimo Gran Premio della stagione potè dunque festeggiare la conquista del Titolo iridato replicando quanto fatto dal padre nel 1982 e regalando agli appassionati di tutto il mondo una delle stagioni più intense della storia recente della Formula 1.

7. Michael Schumacher vs Mika Häkkinen

Tra le tante - e a volte fugaci - rivalità che hanno segnato il Circus negli anni a cavallo tra il secondo e terzo millennio, ce n'è una che sicuramente è destinata a rimanere impressa a fuoco negli annali della Formula 1. Accompagnata dal grido furente dei V10 aspirati, incorniciata tra la livrea nero-argentea della McLaren-Mercedes e quella rossa della Scuderia Ferrari, la sfida tra Mika Hakkinen e Michael Schumacher è stata una delle più cavalleresche che il Motorsport ricordi.
Utilizzo il termine "cavalleresco" non a caso: il finlandese e il tedesco, infatti, provavano grande stima reciproca. Di loro non si ricordano grandi polemiche dinanzi ai microfoni, mentre nelle menti di tutti riaffiorano eccome immagini dei duelli che questi due artisti del volante mandarono in scena tra la fine degli anni '90 e i primissimi anni 2000. Le storie di Hakkinen e Schumacher iniziarono ad avvilupparsi l'una sull'altra a partire dalla stagione 1998, quella in cui il finlandese si ritrovò tra le mani la fulminea MP4-13 che pareva inavvicinabile da tutte le altre vetture dello schieramento.
Effettivamente la velocità della monoposto di Woking era strabiliante - nel Gran Premio d'Australia Hakkinen doppiò tutti gli avversari escluso il compagno di squadra -, ma in Casa McLaren non avevano fatto i conti con il tedesco di Kerpen e con la scuderia del Cavallino Rampante. Dopo una prima parte di stagione corsa sulla difensiva, infatti, a partire dal Gran Premio del Canada Schumacher e la sua F300 diedero inizio a una furibonda rimonta: il tedesco e il finlandese, spesso sul podio assieme a riprova del grande equilibrio che regnava tra i due, si scambiarono vittorie e piazzamenti fino a giungere al Gran Premio del Giappone (l'ultimo dell'anno) separati in classifica da soli 4 punti. Quelli che Schumacher avrebbe avuto in cascina se David Coulthard non si fosse frapposto tra lui e la vittoria nel GP del Belgio. A Suzuka, comunque, si decise tutto al secondo via della gara: Schumacher, che aveva conquistato la Pole, fu costretto a recuperare dal fondo dello schieramento dopo non essere riuscito a partire per via di un problema alla frizione. Nelle concitate fasi della sua rimonta, il destino si materializzò con le sembianze di una foratura: il tedesco fu costretto al ritiro, e Hakkinen vinse il primo Titolo Mondiale della sua carriera.
Michael Schumacher e Mika Hakkinen sul podio del GP d'Ungheria 2000

Michael Schumacher e Mika Hakkinen sul podio del GP d'Ungheria 2000

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Nel 1999 fu un guasto ai freni a sottrarre al mondo un nuovo capitolo di questa rivalità: nel corso del Gran Premio di Gran Bretagna, mentre lui ed Hakkinen erano già ampiamente in lotta per il Campionato, Michael Schumacher rimase vittima di un brutto incidente alla Stowe. Con tibia e perone fratturati, e un lungo periodo di stop davanti a sé, il tedesco e la sua F399 dovettero lasciare campo libero alla McLaren MP4-14 del finlandese. Che a fine anno, nonostante la resistenza oppostagli da Eddie Irvine, si laureò Campione del Mondo per la seconda volta consecutiva.
Si giunse così alla stagione 2000, quella in cui Hakkinen e Schumacher si presentarono ai blocchi di partenza pronti per non darsi quartiere. La F1-2000 del tedesco pareva ormai veloce come la MP4-15 del rivale, ma la scarsa affidabilità che aveva funestato le monoposto di Woking nel corso delle stagioni precedenti colpì inaspettatamente - e a metà stagione - proprio la monoposto del Cavallino Rampante: dopo un inizio sfavillante, Schumacher in classifica si ritrovò stretto nella morsa delle due McLaren. Si arrivò così sull'asfalto del gioiello delle Ardenne, Spa-Francorchamps. La pista che, nel corso del Gran Premio del Belgio 2000, vide scritta sul suo asfalto una delle pagine più belle della storia di questa rivalità. Non serve neppure che io rievochi tutte le fasi della corsa, cristallizzata com'è in quell'unico fotogramma che ritrae - dalla staccata di Les Combes - l'infinito rettifilo del Kemmel.
Mika Hakkinen all'interno, Ricardo Zonta al centro e Michael Schumacher all'esterno. Il finlandese attacca lì dove il tedesco non se l'aspettava, addirittura alla destra di un'altra vettura. Hakkinen sfrutta la scia del doppiato per arrivare alla staccata con più velocità, più rabbia, più impeto: il sorpasso, uno dei più iconici della storia della Formula 1, riesce, nessuno sa bene come, nessuno sa bene perché. Lo stesso Kaiser, a fine Gran Premio, venne immortalato dalle telecamere mentre era intento a farsi raccontare da Hakkinen come, dove e perché fosse riuscito a mettere a segno quella manovra istintiva, folle, geniale.
Un simile sfoggio di coraggio e talento, tuttavia, non fu sufficiente al finlandese per arginare la superiorità dilagante del binomio Schumacher - Ferrari: a Suzuka, vincendo anche il penultimo GP dell'anno, il tedesco riportò il Titolo Mondiale a Maranello dopo ben 21 anni di astinenza mettendo la parola fine alla sua rivalità con il "Finlandese volante".

8. Alain Prost vs Ayrton Senna

Siamo di fronte a quella che è stata probabilmente la più grande, importante, vissuta rivalità nella storia della Formula 1. Andata avanti a più riprese, sfociata in polemiche accese e dichiarazioni al vetriolo, in grado di dar vita a delle gare epiche e capace di dividere ancora oggi il mondo degli appassionati, quella tra Ayrton Senna ed Alain Prost è la rivalità di cui tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo sentito parlare. Velocissimi, dotati di un talento innato, determinati a vincere con ogni mezzo, il brasiliano e il francese sono stati capaci di monopolizzare la scena per stagioni intere. Sembrava quasi che non si volesse più assistere allo spettacolo della F1, quanto piuttosto all'ennesimo atto di quella che pareva una sfida eterna.
Per trovare i primi semi di una rivalità quasi decennale dobbiamo tornare indietro fino al 1984, sotto i flutti di quel Gran Premio di Monte-Carlo che rivelò al mondo l'astro nascente Ayrton Senna. Alla guida della modesta Toleman, il brasiliano diede sfoggio di tutta la sua sensibilità di guida in condizioni di scarsa aderenza liberandosi di metà schieramento prima e recuperando deciso sul leader della corsa Prost poi. Fu una bandiera rossa sventolata per interrompere la gara ad arrestare la rincorsa di Senna: il brasiliano, più veloce del francese da parecchi passaggi, mal digerì una decisione che non solo lo privò della prima vittoria in carriera, ma che gli parve addirittura presa solamente perché il più esperto Prost da diversi giri si sbracciava nell'abitacolo per chiedere l'interruzione della corsa.
Una foto di Ayrton Senna e Alain Prost in testa al gruppo durante il Gran Premio di Suzuka del 1993.

Alain Prost e Ayrton Senna in testa al gruppo a Suzuka

© Pascal Rondeau/Allsport/Getty Images

I destini dei due piloti tornarono ad allacciarsi l'uno con l'altro a partire dalla stagione 1988, quella in cui entrambi si schierarono al via del Mondiale indossando le vesti di pilota McLaren. Con la dominante MP4-4 tra le mani, Prost e Senna furono pressoché unici protagonisti di una stagione in cui la scuderia di Woking vinse 15 delle 16 gare in programma: lo scontro tra i due per la conquista del Titolo Mondiale fu dunque inevitabile. L'apice della loro rivalità, in quella stagione, venne probabilmente toccato nel corso del Gran Premio del Portogallo. Fu lì infatti che Senna, nel tentativo di mantenere la testa della corsa, strinse clamorosamente verso il muro Prost: il francese rischiò tantissimo per portare a termine quella manovra, e una volta sventolata la bandiera a scacchi criticò aspramente la difesa del brasiliano. Che ovviamente, dal canto suo, non si pentì neppure per un secondo di quanto fatto. Tra un sorpasso in pista e una polemica davanti ai microfoni, i due giunsero al Gran Premio del Giappone - prova conclusiva del Campionato - in una situazione di classifica molto particolare: Prost era davanti a Senna per numero di punti, ma secondo l'allora vigente regola degli scarti al brasiliano sarebbe stata sufficiente una vittoria per laurearsi Campione del Mondo per la prima volta in carriera. Senna non mancò quest'occasione: dopo una partenza infelice dalla pole, il brasiliano recuperò su Prost fino a sopravanzarlo nel corso del 28° passaggio, involandosi verso la vittoria e conquistando l'Iride. Il Mondiale 1988 era finito, la rivalità tra i due era appena cominciata.
Nonostante il conflitto tra i due non fosse ormai più latente, la McLaren si presentò ai blocchi di partenza della stagione 1989 con la stessa line up di piloti: pretendere che non si ripetesse il leitmotiv dell'annata 1988 era impossibile. Durante il Gran Premio di San Marino andò infatti in scena l'ennesimo atto di questa rivalità: in occasione della seconda partenza e violando un accordo preso in Casa McLaren prima del via - in base al quale il pilota che fosse uscito per secondo dalla prima curva non avrebbe attaccato il compagno di team nei primi giri -, Ayrton Senna superò con ferocia Prost all'interno della Tosa conquistando testa della corsa e vittoria. Il francese si imbestialì, arrivando addirittura a minacciare il boicottaggio delle gare successive se il brasiliano non si fosse scusato: si capì che la frattura tra i due era ormai insanabile. In un clima surreale, forse mai visto prima nella storia della Formula 1, la resa dei conti tra Senna e Prost andò nuovamente in scena sull'asfalto di Suzuka. Il brasiliano, che doveva necessariamente vincere per tenere vive le sue speranze iridate, affondò la staccata alla Chicane del Triangolo presentandosi improvvisamente all'interno del francese: le due McLaren cozzarono l'una contro l'altra, finendo dritte nella via di fuga. Prost, consapevole del fatto che un ritiro di Senna gli avrebbe consegnato il Mondiale, scese dalla sua monoposto: per lui la gara era finita lì. Di parere totalmente opposto fu però Senna. Che tenne accesa la sua MP4-5, si fece spingere dai commissari, rientrò ai box per sostituire l'alettone danneggiato e vinse in rimonta. La sua gioia fu però di brevissima durata poco: il brasiliano venne infatti squalificato per aver ripreso la corsa dopo aver tagliato la Chicane del Triangolo. La bufera di polemiche che investì Prost, la FISA, Jean-Marie Balestre, Senna e la McLaren non cambiò un risultato immutabile: il Titolo Mondiale 1989 fu di Alain Prost.
Prost e Senna nel GP del Giappone 1989

Prost e Senna nel GP del Giappone 1989

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Giungiamo così alla stagione 1990, quella in cui Alain Prost si schierò sulla griglia del primo Gran Premio della stagione indossando la casacca Ferrari. Il cambio di scuderia del francese, tuttavia, non servì a disinnescare una rivalità che dopo i fatti del 1989 era diventata anzi ancora più accesa e sentita. I due monopolizzarono il gradino più alto del podio in 11 GP su 16, arrivando ancora una volta alla resa dei conti sull'asfalto di Suzuka. A differenza dell'anno precedente, questa volta era Senna ad essere davanti in Campionato: il brasiliano, che aveva conquistato una pole condita da polemiche per il posizionamento in pista della prima casella dello schieramento, sapeva che se Prost si fosse ritirato lui avrebbe matematicamente conquistato il suo secondo Titolo Mondiale. Senna, per non correre alcun rischio e soprattutto per vendicarsi di quanto subito l'anno precedente, si assicurò personalmente che Prost non potesse finire la gara: sopravanzato dal rivale in partenza, il brasiliano tamponò la Ferrari del francese in ingresso di Curva 1. Le monoposto, irrimediabilmente danneggiate, finirono nella ghiaia venendo entrambe costrette al ritiro. E Ayrton Senna, riprendendosi ciò che Alain Prost gli aveva sottratto l'anno prima, conquistò il suo secondo Campionato del Mondo di Formula 1. L'ultimo ottenuto al termine di una delle più grandi rivalità che il mondo dello Sport abbia mai visto.
E se ne volete ancora di più di Prost, ecco la puntata del podcast di Giorgio Terruzzi dedicata a lui e a Lauda: