Donald Glover
© Donald Glover
Musica

10 e lode: Breviario di Childish Gambino

O di Donald Glover, artista completo, artista totale
Di Francesco Abazia
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Donald McKinley Glover in fin dei conti sarebbe potuto diventare tante cose. Un attore o uno scrittore, oppure ancora un cantante. Un commediografo e, perché no, con un po’ di allenamento un ballerino. Avrebbe potuto anche fare il professore, con una laurea in “dramatic writing” presa alla New York University. E invece Donald Glover aveva già deciso di prendersi il mondo, poco alla volta, magari con un notevole ritardo. Aveva già deciso di arrivarci seguendo gli step canonici ma facendo giusto il giro lungo, tornando più volte indietro, in un cammino irregolare che altro non faceva che farci dubitare di lui. Ora, a 33 anni, Donald Glover sembra sul punto di diventare l’artista totale che voleva essere.
Dopo essere passato per la scrittura televisiva (per “30 Rock”), per la recitazione (in “Community” prima, e tra poco in "Star Wars") ha condensato tutto in quel piccolo trattato di antropologia che è “Atlanta”. Nel quale ha inserito il più canonico degli easter eggs, la cover del suo album, in bella mostra nel nono episodio. Domani Donald Glover rilascerà “Awaken, My Love”, il suo terzo album ufficiale, probabilmente il più importante dopo che il “Because the Internet” gli era valso l’ingresso nelle classifiche e in particolare il progetto “Kauai” era passato troppo sottotraccia. Abbiamo deciso allora di ripercorrere la carriera di Donald in piccoli estratti, una sorta di breviario di un artista che ha fatto delle parole una fetta importante della sua carriera. Partendo dalla fine.

Me and Your Mama / Redbone

Donald ha costruito l’attesa per questo suo nuovo album in una maniera del tutto peculiare. “Atlanta” ha fatto da catalizzatore di attenzioni prima che potessimo accorgersi che Childish Gambino stesse effettivamente tornando. Poi è arrivata “Me and Your Mama” che ha confermato quanto Gambino aveva lasciato intravedere nel visionario EP “STN MNT/ Kauai”, il doppio disco che avrebbe dovuto rappresentare due momenti, uno reale uno onirico, della vita di Donald. Una ricerca, un'attenzione al suono abbastanza particolari per chi fa il suo lavoro. Come lo è “Redbone”, traccia difficilmente digeribile che rivela però un enorme numero di implicazioni (non ultime quelle del titolo). È l’idea che Donald Glover ha di musica, e ci toccherà conviverci, ora che Donald ha finalmente imparato a dialogare con il suo pubblico nella maniera più naturale possibile.

Una vita come Atlanta

Poche settimane fa è terminata “Atlanta”, serie tv prodotta dalla FX e creata da Donald Glover. Tra le tante novità introdotte da “Atlanta” (molti delle quali potete leggerle qui) c’è il suo team di autori, interamente neri. Ed è la prima volta che succede in uno show televisivo. “Atlanta” è un piccolo microcosmo di blackness, è – nelle stesse parole di Donald - «il tentativo di dimostrare ai bianchi che non conoscono quel mondo così bene come credono». Il tono di “Atlanta”, quello con cui viene raccontata la vita di Earn e di suo cugino Paper Boy, con il south dirty rap a fare da sfondo, è quello che ha accompagnato una vita intera di intimità Gloveriana. È un tono beffardo, per certi versi ironico, per altri maledettamente serio. È il tono di chi ha provato tutta la vita a dire certe cose, ma paradossalmente si è ritrovato quasi scaraventato dall’altra parte della barricata. Si è arrivati a pensare che Childish Gambino non fosse “black enough” e che non rappresentasse certe idee, quando in interviste del 2013, diceva cose come «I don't think white people know how much effort in my day is put into making them feel comfortable».

Before The Internet

La storia di come Donald Glover abbia scelto Childish Gambino come stage name nel rap è abbastanza conosciuta. In breve: ha utilizzato un generatore automatico di nomi del Wu-Tang Clan. Sarebbe potuto essere Ol’ Dirty Gambino, o Childish Cappadonna, immagino non lo sapremo mai. La carriera musicale di Donald comunque comincia sei anni fa, con la release del mixtape “Culdesac”, un EP che si fa anche fatica a trovare in rete. Un prodotto molto acerbo in cui si sentono una marea di influenze diverse nelle mani di un producer che non sa ancora bene cosa farsene. Attira l’attenzione di Complex a cui dichiara che «I listened to a lot of indie music. I feel like a lot rap heads don't really listen to a whole bunch of music and are closing themselves off». È il manifesto del Gloverianesimo.

Because The Internet

Parte da lì la linea (non troppo) retta che arriva fino alla consacrazione di “Because The Internet”, una consacrazione anche un po’ a sorpresa, a dirla tutta. Il precedente lavoro di Donald, il primo per una major – la Glassnote, che ancora oggi firma le sue uscite – “Camp” seppur accolto con un modesto ottimismo da pubblico e critica si scontra nelle feroci critiche di Spin e Pitchfork, che lo etichetta, nelle parole di Ian Cohen, così: «What's worse is how he uses heavy topics like race, masculinity, relationships, street cred, and "real hip-hop" as props to construct a false outsider persona. On record, he paints himself as a misunderstood victim of cultural preconceptions who is obviously smarter and funnier than his primetime material suggests. Unfortunately, it's a position that holds up to absolutely no scrutiny whatsoever». Donald non ne fa una tragedia, anche se il tempo smentirà pesantemente Cohen. Sempre nell’intervista citata prima dirà infatti: «Pitchfork helped me a lot… I just want there to be a conversation, and this started a conversation about what Childish Gambino stands for».
Arriviamo quindi a “Because The Internet”, che spacca di nuovo a metà la critica, che ancora una volta mostra, per alcuni, un artista confuso dalla sua stessa poliedricità, addirittura «che ha perso contatto con la realtà». È il 2013 e Donald ha appena firmato il contratto con la FX per la produzione di Atlanta. Litiga con la Glassnote, critica il sistema della major ma poi la polemica rientra, 3005 diventa un singolo dal successo planetario e Donald riceve una nomination per i Grammy.