Ernia
© Jamie Othieno
Musica

Ernia, potere alle parole

Intervista al rapper che ha appena pubblicato l'album (forse) dell'anno
Di Francesco Abazia
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Ernia parla meglio degli altri. Sembrerebbe un dettaglio banale, e invece non lo è. Non lo è quando di professione fai il rapper, e quando metti la parola al centro della tua musica. Raramente di un pezzo di Ernia, all’anagrafe Matteo Professione, si è detto che la base supera il testo, e questo nulla deve togliere alla sua capacità – istintiva – di scegliere le basi dei suoi testi. Però Ernia parla bene, e non dice quasi mai le stesse cose degli altri. Non ha paura a mostrarsi per quello che è, non ha paura a parlare d’amore o di strada, perché le due cose possono andare comunque di pari passo. Ernia ha da poco rilasciato un doppio album “Come uccidere un usignolo/67” per Thaurus Music, nato dall’unione del precedente “Come uccidere un usignolo” e nuove tracce. Quel “67” – che Ernia non vuole ancora spiegare – è il preludio a “68”, il suo prossimo lavoro.
Quello di Ernia è un disco complesso, un disco molto denso come non ne uscivano da un po’ in Italia, e forse come non ne sono mai usciti all’interno di quella “scena” a cui Ernia è stato giocoforza ricondotto. “EGO”, “La ballata di Mario Rossi”, “Tradimento” con Mecna (uno dei tre artisti in feat., con Rkomi e Guè) e “Bella” sono solo alcune delle tracce che mettono in evidenzia il range di possibilità artistiche di Ernia, capace di passare da composizioni più tradizionali e escursioni melodiche o più “trap”, senza che la qualità ne risenta. Per molti quello di Ernia è il miglior disco rap dell’anno, e se fai il disco dell’anno nell’anno del rap qualcosa di speciale devi pur avercelo. Abbiamo parlato con Matteo per fargli qualche domanda sul suo presente, lasciando perdere quel passato fin troppo chiacchierato e un futuro tutto da scrivere.
Il titolo del primo disco prende ispirazione dal titolo originale de “Il buio oltre la siepe”, un'ispirazione comune anche a Kendrick Lamar, che partì da lì per costruire “How To Pimp a Butterfly”. Le sue declinazioni però erano più socio/politiche, quali sono le tue?
«Il disco è molto personale, non ho un’idea politica talmente definita da poter schierarmi, e comunque non era il mio intento quando ho scritto il disco. Avrei potuto chiamare il disco “23 anni”. Rappresenta tanto di quello che penso e di quello che provo, quindi direi che è molto meno impegnato di quanto non sia stato “To Pimp a Butterfly”».
L’hai ripetuto in diverse interviste, così come in tanti dei tuoi testi: la tua infanzia è stata tutto sommato agiata. Cosa ti ha dato – in termini di scrittura e di carriera musicale – quell’infanzia agiata?
«Fino a qualche anno fa pensavo nulla, anche perché poi abitando in periferia le amicizie erano le stesse di chi l’infanzia agiata non l’ha avuta, invece ora mi accorgo che esser nato figlio di due laureati che mi hanno dato la possibilità di studiare è servito sul lungo termine al mio modo di pensare: mi accorgo che non penso come quei miei vecchi amici coi quali son cresciuto».
Dove hai imparato il francese?
«Il francese lo so giusto per sopravvivere, sono un livello B1. Comunque l’ho studiato per un anno e mezzo in università: il primo anno non studiai niente, passai poi un mese in Francia e lo imparai così come lo so ora. Arrivai dicendo bonjour e merci, e me ne andai a questo livello, quindi tutto sommato è servito un sacco starmene là».
Il livello di storytelling che raggiungi è molto alto, il dettaglio con cui descrivi le situazioni (penso a “Lei No”) non è comune in questa scena (a cui comunque rivendichi l’appartenenza).
«Ho fatto un gioco un po’ imbastardito, ho preso quello che mi piaceva di questa generazione e della precedente: ho cercato di mettere insieme il tutto. Kendrick ha fatto qualcosa di simile negli USA».
Come nasce la collaborazione con Mecna?
«Ci siamo conosciuti in provincia di Venezia quest’estate durante i rispettivi tour. Non mi era ancora venuto in mente lui come possibile feat, ma stavo comunque cercando qualcuno da chiamare. Il ponte è stato NightSkinny, che è un suo caro amico. Quando è saltato fuori questo particolare gli chiesi di capire se Mecna potesse starci o meno a collaborare».
In tutti i tuoi testi tendi sempre a inserire le tue idee su alcuni dei “temi sociali” di questi anni, dai vaccini allo ius soli. C’è, dietro a questa scelta, la volontà di provare a far prendere coscienza a un pubblico più giovane?
«No, non voglio far prendere coscienza a nessuno, non mi aspetto che da domani gli anti-vaccinisti si pentano e vadano a vaccinare i pargoli. Dico solo quello che penso, e a riguardo penso che la diffusa sfiducia nella istituzioni, bufale su internet, e l’arroganza di aver capito come funzionano le cose, abbiano creato un fenomeno idiota e allo stesso tempo come gli anti-vaccinisti».
Oltre al primo pezzo del disco la parola "ego" ritorna altre volte nel disco: perché?
«Ego è la parola del secolo, io. L’ha capito anche Steve Jobs creando l’iPhone. Ci sono solo io, io, io, io. Cresciamo con l’idea che ognuno di noi è speciale così che, figurati, per tutta la vita ci sentiamo dei fighi della madonna, ma non tu, io. Ci preoccupiamo di quello che sembriamo agli occhi degli altri e non a quello che siamo, perché dobbiamo far vedere che "l’azienda io"  è sempre al top, e i social in questo aiutano e non poco».
Nel disco dimostri di riuscire a muoverti tra una bella varietà di temi e stili: è una cosa che fai di proposito per non appiattire la tua musica?
«Sì. La mia paura più grande a volte è ripetermi, ho il terrore, dovrei forse essere più tranquillo perché succederà prima o poi».
Come lavori alla scelta delle strumentali dei tuoi pezzi?
«Non c’è un lavoro specifico dietro, appena sento la base so subito se la userò o meno».
“Come uccidere un usignolo” è il pezzo in cui più d’ogni altro ritorni su quanto successo con i Troupe D’Elite. Nelle interviste che hai fatto ci si focalizza abbastanza su quel periodo, ti scoccia?
«Un pochino sì, io non sono TdE, sono Ernia. Vorrei sapere se anche agli altri componenti vengono fatte queste domande».
Sia in “Come uccidere un usignolo” sia ne “La Ballata di Mario Rossi” fai più volte riferimento all’ipocrisia come elemento naturale della vita della maggior parte delle persone: sei davvero così pessimista?
«Non sono pessimista, sono realista: è un dato di fatto che l’ipocrisia sia parte integrante anche del più innocente tra di noi. Sono talmente parte della nostra vita che le parole "incoerenza" e "ipocrisia" forse non dovrebbero neanche avere una connotazione negativa, tanto ci sono familiari».
Si è parlato spesso, ultimamente, del tema della misoginia nel rap, italiano e non. Nei tuoi testi – che pure citano sesso e amore – invece sembra che la donna venga trattata sempre con un grande rispetto.
«Sono stato sempre molto gentile con le ragazze con le quali ho avuto a che fare. Nei confronti della figura della donna ho sempre avuto il massimo rispetto».
Come uccidere un usignolo/67

Come uccidere un usignolo/67

© Thaurus Music

Il tour di "Come uccidere un usignolo/67":

7 dicembre - Parma - Campus Industry Music
9 dicembre - Brescia - Latte più
15 dicembre - Roma - Smash
23 dicembre - Potenza – Nashira
6 gennaio - Vicenza - Nu club
26 gennaio - Genova - Crazy Bull
27 gennaio – Desio (MI) - Movie Club
3 Febbraio – Salice Terme – Club House
10 Febbraio – Viterbo – Encore Festival
15 Febbraio – Milano - Gate club
17 Febbraio – Piacenza – Avila
20 Febbraio – Campobasso - Invidia Club