Ernia
© Stampa
Musica

Ernia e i suoi Gemelli

Il rapper milanese Ernia ci parla del nuovo disco, di Club Dogo, del passato e del pallino del rap che non è mai andato via
Di Claudio Biazzetti
7 minuti di letturaPublished on
A nemmeno un mese dall'uscita, "Gemelli" di Ernia sfoggia già un vestito tutto d'oro. Ma il rapper milanese non è di certo uno che si vanta. «Non è nel mio» ti dice parlando dello stereotipo del video rap, quello del rapper col pataccone al polso e una macchina di lusso che probabilmente manco è sua.
Semmai, fare un nuovo album è più per una (ormai rara e anomala) urgenza personale, per curare una specie di apatia che per natura accompagna Matteo Professione, il vero Ernia. In ogni caso, fra feat brillanti con Fabri Fibra e un tipo di rap che non si abbassa mai ai giochetti di chi ce l'ha più lungo, Matteo alla fine ha trovato la via giusta, quasi introvabile: la soddisfazione del successo, con una buona dose di pace/gratificazione personale. Sarà merito dell'oroscopo? Prima cosa che gli ho chiesto.
Ma il titolo "Gemelli" ha una qualche accezione astrologica?
Mah, no. Cioè in realtà io sono ascendente Gemelli. Ma, più di questo, no. Non ci credo molto nell'astrologia.
Ho visto il video di "Superclassico" e devo dire che sei davvero credibile come attore. Non è un classico video rap, ecco.
Grazie, ma è importante per me rimanere sempre nel mio. Fare un video con la collana e la macchina non è nel mio, mentre invece una cosa come "Superclassico" rispecchia meglio la mia carriera. Fare i video con la collanona e la macchinona fa sempre figo, tira sempre tantissimo (altrimenti in Italia non esisterebbero da 20 anni i tronisti). Però bisogna anche avere lo status per fare quelle cose secondo me.
E se ti proponessero la parte in una di quelle fiction orrende ma seguitissime?
Guarda, delle fiction non mi interessa. Però è lavoro, quindi dovrebbero pagare bene. Se pagano bene, ne riparliamo. Se fosse una cosa rap, potrei valutare la cosa. Se non fosse rap, allora "pagate bene? Bene". Non c'è una questione morale dietro alla quale mi attacco: se è una roba rap bene, se non è una roba mia allora mi dovete pagare davvero tanto. È come se ti dicessero "ti pago per appenderti i quadri in casa", che fai? Ovviamente accetti. Se l'altro è abbastanza fesso da pagarti per una roba simile, è giusto accettare.
"Puro Sinaloa" è un omaggio alla pietra miliare dei Dogo, "Puro Bogotà": ma quanto secondo te fra le nuove generazioni si ha coscienza di questa importanza?
Penso che il pubblico sia cosciente, ma forse è più un sentito dire che un sentirlo addosso. I nuovi, ma anche tanti i vecchi. Guarda, io ho imparato una cosa dei Dogo: sono oltre la musica. Quando ascoltavo i Dogo da ragazzino tutti li criticavano perché stavano avendo successo, tipo "Non è vero rap, adesso il rap non dice niente" e cose così. Adesso tutti quelli che li criticavano li elogiano perché "eh, loro sì che erano vero rap. Mica come i rapper di oggi". Capisci? Ogni 15 anni cambiano radicalmente le opinioni: vuol dire che non ce l'hanno, non se lo sentono addosso.
Quindi man mano che passa il tempo...
Man mano che passa il tempo, il ragazzino cresce e diventa un boomer rompicoglioni come i propri genitori. E a ogni nuova generazione che arriva, dice "voi non siete più rap". È un circolo infinito, è sempre così.
Tra l'altro all'epoca con il tuo gruppo insieme a Ghali, Maite e Fonzi, i Troupe d'Elite, sarà stato un sogno entrare in quel mondo Dogo.
Sì, e abbiamo anche i nostri meriti. Siamo stati proto-trap, siamo stati i primi a portare uno slang dagli Stati Uniti e usarlo come linguaggio nel parlato, usarlo come cavallo di battaglia in un pezzo. Cioè tipo Swag. Poi ci sono stati i Dark Polo Gang che sono stati bravi a partire da questo slang e coniare neologismi tipo Bufu. Ma noi siamo stati i primi.
Pensi che alla trap sia sfuggita un po' la mano con i termini in inglese/slang?
No, perché adesso i ragazzini parlano davvero così. Sono collegati con altri ragazzini dall'altra parte dell'oceano. Vedono loro, hanno gli stessi riferimenti. Il ragazzino bianco della classe media italiana, così come quello della classe media americana, è fan di Travis Scott. Ha capito che l'Italia è una cosa troppo piccola, quindi guarda oltre, in America. Quando ero piccolo, il rap americano non esisteva se non nella figura di Eminem. E poi c'era il rap italiano che faceva la sua cosina, ma era limitata.
E poi c'era Fabri Fibra, che hai fatto tornare in grande spolvero con un pezzo vecchia scuola, "Non me ne frega un cazzo".
Sì, mi ha detto che era felicissimo di averlo fatto. Era gasato, quando l'ho beccato mi ha detto: "Se il disco è tutto così è una bomba".
Ed è tornato molto il boom bap comunque, il beat vecchia scuola.
Comunque, sai, va sempre tutto a periodi. Non si può manco pensare, come dicevi tu, che vadano sempre e solo le collane e le macchinone. A livello di sonorità e di temi non si può mica pensare che vada sempre tutto al nulla cosmico. Ormai non ci sono manco più le punchline, capito? Siamo tutti bravi a dire "soldi". Grazie al cazzo che lo fa qualsiasi coglione. Ormai sembra la Corrida.
In due diversi punti dell'album ti definisci prima "morto dentro" e poi "vivo". Quale dobbiamo prendere per buona?
In questo momento decisamente vivo. Il "morto dentro" è figlio di un'apatia lunga 10 anni che andava peggiorando, ma che nell'ultimo anno ho cercato di combattere. Sicuramente ha aiutato la scrittura del disco, anche i successi che ho avuto con "68" hanno dato una mano. Per quanto sia stato un disco difficile, alla fine ho fatto platino e sold out all'Alcatraz senza annunciare gli ospiti.
Ultima domanda: di chi è la voce alla fine di "Mery x sempre" feat. Shiva?
È di un ragazzino del carcere minorile Beccaria che ho conosciuto durante delle attività che ho fatto all'interno del penitenziario. Lui è il primo minore che è stato condannato per tortura in Italia. A me ha colpito molto perché se lo vedi non gli dai una lira. Ce n'era anche un altro che era palesemente un bravo tipo, però aveva ucciso sulla 90 [linea autobus milanese, ndr]. Questa cosa mi ha colpito molto, ci sono degli aspetti loro che mi hanno ricordato i miei amici dell'adolescenza. Nel caso del pezzo, ho inserito il vocale in cui mi ringrazia per l'in bocca al lupo che gli ho fatto il giorno prima della sentenza, che poi si è risolta con lo scagionamento del ragazzo.
A proposito di adolescenza, ho visto che Tedua ha caricato su Instagram un video di voi due che fate freestyle a 12 anni. Te n'eri dimenticato? Del video dico.
Ma no, sapevamo che c'era. Io e lui non abbiamo foto di allora. Un nostro amico ha tirato fuori questo video perché l'ha preso da un vecchio computer. Sai, non c'erano nemmeno i telefonini con la fotocamera. Che foto ci dovevamo fare? Figurati. Non avevo quel telefonino, io avevo tipo un Sagem, dev'essere tipo una marca coreana di bassissimo livello. Quando l'ho comprato costava 40 euro: mi sembrava di spendere un patrimonio. Tante persone vedendo quel video hanno detto "Ah! L'inizio del fenomeno, i primi passi della scalata verso la vetta del rap". No, io vedo solo due bambini che si divertono perché hanno scoperto il rap, un nuovo giocattolo.
Giocattolo che vi piace ancora parecchio.
[ride] Esatto, siamo ancora in fissa con quel giocattolo.