aka 7EVEN.
© Fabrizio Cestari - @fabcestari
Musica

Un giretto con… Aka 7EVEN.

Un artista, una playlist, una chiacchierata intima, un giro nei ricordi, nei luoghi che hanno ispirato canzoni ed emozioni: un giretto con...aka 7EVEN.
Di Carlo Pastore
10 minuti di letturaPublished on
Aka7even - all’anagrafe Luca Marzano - non ha ancora compiuto 21 anni. Con i suoi modi gentili e il suo look evidentemente ispirato al mito Justin Bieber, è un ragazzo della gen Z diverso da altri che abbiamo avuto qui a Giretto, come Ariete o Madame. Li accomuna il fatto che siano tutti passati, in maniera più o meno diretta, dal grande tritacarne del talent: la prima a X Factor (con esiti abrasivi), la seconda come colei che ha iscritto Sangiovanni all’ultima edizione di Amici, proprio quella cui ha partecipato anche Aka7even.
Luca e la sua storia sono perfetti per quel contesto. Papà camionista e dj, mamma colf, 4 fratelli fra cui un cantante e un allenatore di calcio. Un terribile coma vissuto a nove anni dopo una serie di crisi epilettiche da cui è come risorto. Uno shock che gli ha lasciato lo sguardo malinconico, gli occhi che cercano sempre un altrove più felice, ma anche l'atteggiamento dolce di chi ha capito che lavorare sulle proprie debolezze può aprire una breccia nel pubblico. Un ragazzo che ha trovato nelle canzoni il modo di realizzare - per dirla con il melodramma partenopeo - il suo sogno nel cuore.
Quando lo chiamo al telefono sono le 11 di mattina e lui è già alla quinta intervista in fila. Mi risponde un po’ in ritardo e subito si scusa. Gli chiedo se si sia già rotto le scatole di questa routine, ma dice di no, che gli fa piacere: “Per me è tutto strano: devo metabolizzare. Però è una figata. Fare questo come lavoro è ciò che ho sempre desiderato”. Allora partiamo: solo gli prometto che sarà un’intervista diversa, e che questa chiacchiera ci deve portare a fare un Giretto assieme, e parlare di musica più che di talent.
aka 7EVEN.

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Preferisci essere chiamato Aka o Luca?
Facciamo Luca, dai.
Come va?
Sono rintronato. In casetta ad Amici la situazione era diversa. Stando chiusi, ciò che era fuori ci era nascosto. Sapevamo solo dei dischi, dei numeri, dei social impazziti.
Questa follia dei numeri non ti angoscia neanche un po’? Premesso che i tuoi sono numeri pazzeschi.
In realtà mi gasa, mi ha dato energia. Prima di Amici non ero mai stato in classifica. Non sono un tipo che crea competizione o astio. Per me la musica è condivisione. Però non riesco ancora a dare loro il peso giusto: “Mi Manchi” ha quasi 23 milioni di ascolti… La vedo solo come una figata, non riesco a realizzare.
Hai detto che una volta uscito ti sei sentito “il meme d’Italia”.
(Ride, NdR) Sì. Mi è piaciuto esserlo, sono molto ironico e autoironico. Non mi pesa e mi diverte. Spesso passo ore a guardare i commenti di Twitter perché è divertentissimo. Semmai ci fossero commenti negativi - o ci fossero stati - non li ho notati, fanno parte anche quelli del percorso. Credo che le cose che ho vissuto abbiano influito in questo. Determinate situazioni hanno un peso enorme rispetto ad un commento online.
Qual è il tuo meme preferito su di te?
C’era la classica situazione in cui eravamo appena rientrati in casa dalla puntata, e la stavamo commentando. Io tutte le sere avevo l’abitudine di farmi la camomilla, perché era difficile per me dormire. La camomilla si fredda, così la metto a scaldare nel forno. Non funziona. Con la faccia appesantita perché la puntata è andata male mi giro e dico: “si è rotto il forno”. Quello è il meme più figo visto finora.
Cosa vuol dire per te essere giovani?
Avere la libertà e la possibilità di sperimentare qualsiasi cosa. Godersi la vita quotidianamente senza mettersi paletti. Questa cosa la vorrei anche in età adulta. Se a quarant’anni volessi sognare, vorrei avere possibilità di farlo. Non bisogna porsi limiti. Ti racconto un aneddoto. Il mio primo maestro di pianoforte ha iniziato tardissimo ma poi è finito a suonare con Maradona.
Wow. Che suonavano assieme?
Canzoni tipiche napoletane, era quando Diego viveva a Napoli. Il suo pezzo preferito era “'O surdato 'nnamurato”. Quando è mancato era il periodo in cui avevamo l’ultima possibilità di accendere la tv in casetta. Partì il TG, prima notizia la sua morte. Io che dico “oddio, cos’è successo”. A Napoli è un’icona, ci sono murales ovunque. Non ci potevo credere.
Hai fatto sport nella vita?
Prima di andare in coma, ho giocato un mese a calcio. Non sono un fenomeno ma me la cavicchiavo. Ho continuato facendo partitelle con amici. Mio fratello invece - il penultimo di noi - ha portato avanti questa passione. Fa l’allenatore, ha appena preso il patentino UEFA B.
Non ti ci vedevo come sportivo, in TV ti mostravi sempre pieno di reumatismi e dolori vari da giovane vecchio.
(Ride, NdR) In realtà già in passato ho sofferto di cervicale e scoliosi. Però mi è capitato di giocare lo stesso. Quando giochi ti diverti, i dolori arrivano dopo.
Sei ipocondriaco?
Sì. Mia madre è stata molto vicina da questo punto di vista. In casetta invece mi hanno aiutato i ragazzi. Mi sentivo il Covid per ogni giramento di testa. Fortuna che poi è andata a diminuire... I miei dolorini comunque non mi hanno rubato del tempo. Anche se avevo bisogno di riposare, mi rimettevo a lavoro subito dopo. Ho sempre cercato di occupare il tempo nel miglior modo possibile.
Che differenza c’è fra la musica e la musica in tv?
Prendiamo “Yellow”. Non è musica da tv, è da discografia mainstream, da Spotify, da ragazzetto in macchina. “Mi manchi” invece è molto più televisiva. Un pezzo ha fatto 5 milioni, l’altro 22. Ecco la differenza. Sono due testi diversi, due arrangiamenti diversi. L’arrangiamento conta tantissimo. L’impatto che percepisce il pubblico da casa è diverso da quello che percepisce l’ascoltatore del digital store.
aka 7EVEN.

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© Fabrizio Cestari - @fabcestari

Quando hai capito di voler scrivere canzoni?
Attorno ai tredici anni. Ho realizzato che, non essendo bravo a parlare, dovevo mettere tutto nero su bianco. Conversando avevo difficoltà a espormi ed esprimermi, invece scrivere mi liberava. Era uno sfogo per me. Da quel momento ho iniziato a farlo tutti i giorni, ininterrottamente. Solo in questo periodo ho rallentato, perché sono pieno di impegni.
Il successo ti ha tolto ispirazione?
No, sono molto preso bene. L’ultimo periodo in casetta, vivendo con Tancredi e Sangiovanni, mi ha ispirato molto. Ora che sono fuori cercherò di essere il più versatile possibile. Voglio scrivere di più cose, trattare più argomenti.
È vero che non bevi e non fumi? Perché? Come è possibile?
Sono astemio. Ho provato la birra, ma proprio non mi fa impazzire. All’inizio, per via del coma, dovevo stare attento, prendevo una compressa quotidianamente. Finita la terapia, i medici mi dissero “stai benissimo, fai quello che vuoi: ma stai attento”. Così non ho mai esagerato, avevo paura mi succedesse di nuovo. L’unica volta che ho bevuto e mi sono ubriacato è stato con mio padre a tavola. È stata l’ultima volta anche per lui.
Che pensano i tuoi genitori del tuo successo?
Li ho solo sentiti telefonicamente: sono orgogliosi e felici. Vedrò da vicino la loro reazione quando li incontrerò, anche se non so di preciso quando. Abbiamo il calendario organizzato fino a fine maggio.
Ti senti un bravo ragazzo?
Sì. Lo dico con orgoglio. È bello essere diversi da quella che è la tendenza. L’importante è che ogni persona sia se stessa.
Cosa vuol dire essere te stesso per te?
Mostrarmi per ciò che sono. Non avere timore del pensiero della gente. Non sono un tipo di persona che si mostra subito per ciò che è. Il pubblico da casa, i social, mi hanno un po’ accettato così come sono. Ora so che posso fidarmi.
Com’è stato vivere il lockdown da ragazzo della tua età?
Il primo lockdown mi è pesato tantissimo, l’ho presa molto a male. Avevo difficoltà a mangiare, ho perso 5kg di peso. Nelle difficoltà non vivo bene, tendo a chiudermi, a mettermi in disparte.
Sei polistrumentista. Quando hai iniziato a suonare tutto?
Ho iniziato con la batteria. Quando ho realizzato di avere una dote canora, avendo già perseguito una capacità ritmica, ho voluto passare al pianoforte perché così mi sarei potuto accompagnare al canto. Ho preparato il test di ingresso al liceo musicale. Ha funzionato. A scuola ho poi studiato clarinetto, perché era d’obbligo, e come secondo strumento la chitarra.
Come Anderson .Paak ! Che ho visto hai messo nella tua playlist.
Mio idolo, insieme a Bruno Mars. Nel r&b è il king. Anche lui è polistrumentista come me.
Prima della playlist, dicci dove facciamo il Giretto.
A Napoli, la mia città, dove sono cresciuto e ho mosso i miei primi passi. Dove ho scritto la maggior parte dei miei pezzi in riva al mare col tramonto, o guardando il Vesuvio. Dove ho casa. Napoli è la mia musa, è la mia seconda madre. Ho vissuto la gran parte della mia vita qui, mi ha ispirato.
In che quartiere sei nato?
Io sono nato in periferia di Santa Maria La Carità, un comune poco fuori città. C’è una piccola piazzetta, case vicine, piccoli negozietti. Mi ricordo la mia crescita. È un quartiere che mi ha sempre supportato. Ho saputo che mentre sono stato in casetta hanno creato una bolgia di fan per supportarmi, mettendo striscioni e camion ovunque per farmi televotare.
Era qui che da piccolo cantavi nelle pizzerie con tuo fratello?
In realtà non solo, capitava anche di andare a Salerno o Napoli centro. Lo chiamavano un po’ in giro e io lo accompagnavo. I miei fratelli sono stati importantissimi per me, anche mia sorella canta. Mi spronavano a farlo in casa, facevamo i karaoke insieme. La mia passione è nata e durata anche grazie a loro. Tutti mi sono stati vicini. Mio fratello allenatore, nel periodo prima di Amici, sfruttava la scaramanzia per non farmi andare sotto, come si suol dire. Facevo i provini, vedevo che andava bene, ma lui mi diceva di stare zitto e non dire nulla, altrimenti non sarebbe successo.
Tuo papà faceva il dj? Che suonava?
Metteva i dischi nelle discoteche. Si chiamava Dj Francesco.
Dai vinili alla tua playlist. Primo nome: Justin Bieber.
Io mi ispiro molto a lui, mi ci rivedo tantissimo. Nell’ultimo periodo si è avvicinato molto alla religione, ha avuto un percorso di recupero. Prima era un testa calda, ora si è chillato.
6lack.
Ho messo “Problems”. Mi ispiro molto anche a lui. Ha un sound pazzesco, un modo di esprimersi nei testi unico. Scrive testi assurdi. Un’ondata di freschezza che anche in Italia potrebbe spaccare. Mi spiace che sia ancora non così conosciuto come Justin.
Primo italiano in playlist: Rkomi.
Artista assurdo. Scrive in una maniera unica. Non è del tutto r&b ma ha quella scia lì, quel suond che cerca di staccarsi dalla scena italiana. Porta metriche quasi americane.
Cosa vuole dire essere americani per te?
Portare un certo tipo di lavoro nei live: band, coreografie, ballo, scenografie, grafiche.
Pop Smoke. RIP.
Ho iniziato ad ascoltarlo dopo la sua morte. Ero incuriosito. Ho scoperto che faceva roba assurda. Era davvero uno dei più forti della scena trap-drill americana. Poi ho messo The Weeknd, uno degli altri idoli a cui mi ispiro. Mi piace perché si avvicina molto a Michael Jackson.
Non hai dimenticato Napoli.
Ho messo Geolier, che si sta facendo spazio a calci nella scena italiana. Uno dei migliori insieme a Luchè e Clementino a fare il boom in Italia da napoletano.