Ad un certo punto, in una maniera o nell’altra, abbiamo iniziato a sentir parlare di Geolier. Chi per la street hit “P Secondigliano”, chi per le trappate di “Queen” o “Mercedes”, chi invece per il ritornello super catchy di “M Manc" con Sfera Ebbasta o in “Cyborg” di Gué Pequeno. Tanta roba per un ragazzo di Napoli classe 2000.
Lo raggiungiamo a Scalea, in Calabria, dove la mamma solitamente passa le sue vacanze, per chiedergli di portarci a fare un Giretto, la nostra intervista che è in realtà una playlist. “Sono un po’ in sbatti”, mi racconta, “non riesco ad andare in spiaggia e farmi un bagno, è un macello, ci sono un sacco di ragazzi. Sto cercando una barchetta… ma non si trova nulla”.
Il successo di “M Manc” con Sfera Ebbasta ti sta rovinando la vacanza?
(Ride) Ma no. Ne sono molto felice. Sono molto sincero: Sfera è il massimo in Italia, fare una collaborazione con lui è stato fortissimo. Il pezzo ha sfondato, è bello: sta ancora in classifica. Con Shablo non avevamo intenzione di fare una hit estiva, non ne aveva le credenziali, invece lo è diventata.
Che tipo di estate hai passato a causa del Covid?
Ho fatto 10-15 date, però poi hanno bloccato di nuovo tutto. Sono riuscito a vedere pezzi usciti durante la quarantena, tipo “Vamos pa la banca”, sfondare tutto: quando partiva il drop la gente urlava. Ho apprezzato di nuovo il live: al di là del guadagno, io canterei anche gratis. L’anno scorso ho fatto cento date a Napoli, fra locali e dj set, ad un certo punto ero anche un po’ stanco. Ma dopo la quarantena è stato diverso, è bello anche suonare davanti a dieci persone. Durante la prima data dovevo fare mezz’ora, invece ho fatto un’ora.
Poi hai girato il video di “Capo”.
Io e Dat Boi Dee avevamo questo video in testa da sempre. Ci siamo ripromessi di farlo non appena avremmo potuto. Non volevamo fare i gangsta. Durante le riprese sono stato vicino al regista e gli ho detto: “non voglio solo una cosa squarciona, pappona, ma anche concettuale”. Volevamo fare l’America, Fra.
L’America… Dove ci porti?
A New York, nel quartiere di Notorious BIG, Brooklyn. Lì si respira il rap.
Che vibrazioni hai avuto quando ci sei stato?
Fra, là ho capito come è importante l’hip hop per le persone che ci abitano. Lì il rap lo fanno i bambini, le persone vivono per la musica. Batti un po’ con le mani sul tavolo e sicuro troverai una persona che ci canta sopra. Quello era il mio mondo, il posto dove desideravo di andare. Mi sentivo a casa anche se a parecchi km di distanza.
Hai trovato similitudini con Napoli?
Ti racconto un episodio. Eravamo in questo quartiere io e il mio amico, stavamo cercando la casa di Biggie ma non la trovavamo. Stavamo parlando in napoletano, gesticolando. Passa un gruppo di ragazzi afroamericani come lo si vede nei film, senza maglietta. Si avvicinano, si fanno capire, ci chiedono “Dovete andare da Biggie?” Io li guardo e dico “Fra, ma tu come lo hai capito?”. Il ragazzo risponde: “Voi napoletani avete una cultura simile alla nostra, anche noi gesticoliamo, sentendoti dire Biggie ho capito che volevi andare a casa sua”.
Che tipo di viaggiatore sei?
A me piace moltissimo viaggiare, però per fare le serate. Considera che io vivo per la musica, sto sempre in studio.
Prima di fare dischi hai lavorato in una fabbrica di lampadari. Qual era il tuo viaggio da sogno all’epoca?
Prima di fare il rap e poter viaggiare ho sempre sognato di andare proprio a New York. Fra, per il rap. Per l’hip hop. Per la cultura. Per le vibrazioni che ti dà. Appena ho tempo ci vado. Si respira un’altra aria. In due anni ci sono andato due volte.
Quale cosa ti ha colpito di New York?
Le persone, come sono fatte. Ti fermano per strada se hai un bel paio di scarpe, e te lo dicono. Zero cattiveria. Poi NY è come Napoli, Fra, ha una mentalità tutta sua.
Sei andato a mangiare nella pizzeria di Luchè?
No, Fra, ci sarei dovuto andare ma era distante. Però sono sicuro che la pizza sia buona, ha i pizzaioli di Napoli e si fa portare gli ingredienti buoni. Fidati, non lo dico perché sono di parte, io di pizza ne capisco (ride).
Hai raccontato che a Secondigliano il rap era talmente fuori contesto che quando camminavi con un New Era addosso te lo toglievano dalla testa. Immagino che a New York tu non abbia avuto questi problemi.
Esatto. Lì i New Era li vendono in ogni negozio. A Napoli invece se volevi prendere un cappello del genere dovevi andare da Footlocker. A me lo regalò mio fratello. Sembrava che mi fossi comprato un macchina, ma in fin dei conti era solo un cappello. Eppure con quello addosso mi guardavo alle specchio e sentivo d’essere diventato un rapper.
Ora che sei diventato un rapper a tutti gli effetti, con successo, come guardi indietro a questi due primi anni di carriera?
Se penso all’uscita di “P Secondigliano", mi sveglio adesso. È stato tutto un flash. Non ho mai pensato a quello che ho fatto, nemmeno adesso lo penso. Voglio che la mia musica non sia mai influenzata da qualcosa. Non mi rendo conto di quello che faccio. Per avere sempre la stessa fame.
Si può mantenere la stessa fame una volta che hai mangiato?
Fra, no. Non è così. Qualcosa inconsapevolmente cambia. Io cerco sempre di non cambiare, ma nei testi me ne accorgo sempre di più. È l’evoluzione di un artista. Ci sta. Io non perdo mai l’Emanuele che sta in me. Anche lui si evolve, si adatta.
Ora Emanuele è diventato un “marchio registrato”. Come mai hai avuto l’idea di fare un repack del disco?
Ci stavano delle idee, nel disco non ho messo un sacco di pezzi. Fai conto che per fare 14 tracce io devo fare 140 pezzi. La repack è la via di mezzo, il preludio alla prossima evoluzione.
Stai già lavorando al disco nuovo?
Sto pianificando. Sto accumulando idee e pensieri.
Volevi diventare Gué Pequeno. Quali sono i tuoi miti di riferimento?
Gué Pequeno può fare tutto, è un’icona. Ha raggiunto un livello diverso. Per il duro lavoro che ha fatto, dopo cinque dischi solisti, sta ancora primo. Poi i Co Sang, Luca. I pezzi di Rocco Hunt me li studiavo: le metriche, gli incastri, gli argomenti e le riflessioni. Nemmeno Rocco conosce le sue strofe come le conosco io.
Che cosa significa per te avere credibilità nella musica?
Senza credibilità è meglio che non fai musica. Nel periodo di “Queen” e “Mercedes” chiunque diceva che stessi spaccando però che avessi fatto pochi pezzi e sarei morto. Erano pezzi banali, per bambini. Già dentro di me non volevo fare quello. L’ho fatto ma consapevolmente, perché dovevo fare il singolo per fare punti e scalare la montagna immaginaria. Il disco contiene ciò che mi piace fare.
Da chi hai imparato questa consapevolezza?
Da nessuno. Sembrava che già lo sapessi fare, ma nessuno me l’ha insegnato. È parecchio che faccio questo, ho avuto persone con me che mi ha tanto aiutato. E anche un po’ di fortuna (ride).
Raccontaci cosa troviamo nella tua playlist Giretto.
Anzitutto “Empire State Of Mind” di Jay Z. Mi è venuta voglia di andare a New York sentendo quel pezzo. Lì non avevo il coraggio di metterlo in macchina, mi faceva troppa emozione. La ascoltavo in stanza e ora sotto i grattacieli…
Poi?
Nas, rapper per eccellenza, uno che ha fatto le tarantelle. Ho voluto suonare tutti i pezzi che mi pompavo in cameretta immaginandomi d’essere oltreoceano. Io poi sono innamorato di 50 Cent. È quella cosa un po’ gangsta che mi ricorda i Dogo. Ho messo i Mobb Deep, che ascoltavo da piccolo. E ancora il Wu Tang Clan, ho scelto “C.R.E.A.M. (Cash Rules Everything Around Me)”. Ho fatto un pezzo ispirato a questo, ma non l’ho mai fatto uscire perché era troppo rap. Te lo dico in napoletano: “I SOLD CUMANNANO TUTT’ E COSE ATTORNO A ME”. Infine Pusha T, un grande.
Chiudi con Kendrick Lamar feat. Dr Dre, “Compton”. Prossimo giretto lo si fa a Los Angeles?
Esatto.
Eppure mi aspettavo ci facessi fare un giro a Secondigliano.
Se vuoi ti porto là (ride) ma io ci vivo, per me è diverso.
Ti pesa dover rappresentare sempre per il tuo quartiere?
No, assolutamente. Cerco sempre di rappresentarlo nel modo migliore. Voglio rimanere il secondino per eccellenza.
D’altronde te lo sei scelto come nome: Geolier in francese significa carceriere, secondino.
Bravo. Fra, questa è l’unica intervista che ho fatto in cui non me lo hanno chiesto. Grazie (ride)!
Cosa consigli di vedere a chi farà un giretto a Napoli?
Posillipo, c’è un panorama bellissimo. Poi Secondigliano, dove la gente vive in un modo tutto suo: anche la polizia è diversa. Ad esempio le Vele di Scampia: i miei amici rapper mi chiedono sempre di portarli lì.