Ensi sul luogo della grande finale
© Andrea Zaffaroni
Musica

Ensi racconta la storia del freestyle in Italia

Il re delle rime improvvisate, che il 17 maggio farà da host alla finale del Red Bull Frista, ci racconta di come le rap battle si sono affermate nel nostro Paese, dagli albori fino a oggi
Di Claudio Biazzetti
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Dal 2theBeat al Tecniche Perfette, passando per il traguardo televisivo di MTV Spit, non esiste rapper in Italia che abbia vinto tanto nel freestyle quanto Ensi. Il rapper torinese, all’anagrafe Jari Ivan Vella, è forse quanto di più vicino abbiamo a un gran sacerdote delle rime improvvisate: è esattamente per questo motivo che l’abbiamo scelto per fare da volto e host a Red Bull Frista, il nuovo format che mette al centro il freestyle e lo mette a disposizione di chiunque abbia il talento per destreggiarsi in quest’arte ormai più che trentenne. Almeno, in Italia.
Per prepararci nel migliore dei modi alla grande finale milanese di sabato 17 maggio (biglietti a ruba, ti conviene prenderli ora), abbiamo ripercorso la storia del freestyle nel nostro Paese chiedendo direttamente a Jari, uno dei suoi più grandi protagonisti, di guidarci. Dagli albori alla Golden Era, dal periodo post-8mile di Eminem fino ad arrivare a oggi, ecco una breve ma utile timeline delle rap battle italiane.
Com’è arrivato il freestyle in Italia?
C’è stato un periodo in cui i primissimi rap fatti in Italia erano in lingua inglese. Anche il freestyle, di conseguenza, era in inglese. Quando poi è arrivato l’italiano nelle canzoni, allora ha cominciato a farsi strada e affinarsi anche nell’improvvisazione. Ovviamente, specialmente agli albori, non era obbligatorio. C’è stato poi un momento successivo, parliamo dei primi anni Novanta, che si può considerare la Golden Era, in cui (tolto qualche nome) bene o male tutti lo facevano. L’MC si doveva saper destreggiare. Quando ho iniziato a fare rap io, questa cosa del freestyle esisteva già. C’erano quelli universalmente forti e riconosciuti da tutti: Neffa, Tormento, Esa, Danno, e via dicendo. I più grandi dicevano a noi ragazzini: “Beh, se vuoi fare rap devi fare anche freestyle”.
Il che poi non era del tutto vero, no?
No, infatti. Alcuni dei miei rapper preferiti dell’epoca, tipo Kaos o Guè, non hanno mai fatto troppa improvvisazione, a differenza di altri come Jake La Furia o Fabri Fibra. Insomma, all’inizio sembrava che lo dovessi fare. Col tempo questa cosa si è affinata quasi come un’arte a sé stante. Oggi è comunque parte del gigantesco movimento dell’hip hop, ma si muove su altri stilemi forse proprio perché il rap ha finalmente raggiunto la notorietà che bramava negli anni. Oggi si può perfezionare sempre più e il mondo ci fa vedere questa cosa del freestyle come reale: basti vedere il Sudamerica, dove tanti rapper fanno solo quello ad alti livelli e riempie piazze e stadi. Che è un po’ quello che ci auguriamo anche qui in Italia.
Però possiamo dire che qui il freestyle non è mai morto.
Secondo me, neanche. È vero che ora, se guardiamo alla nostra scena, è un po’ più “di moda”, passatemi il termine. Ma ben venga. È chiaro che secondo me l’ambiente necessitava di una cosa come Red Bull Frista. Perché questi ragazzi hanno quelle tre o quattro competizioni, che si spartiscono ogni anno, che però sono organizzate dall’ambiente per l’ambiente. Occhio, non voglio togliere un centesimo a eventi validissimi come il Mic Tyson. Qui invece si ha la possibilità, come fu per me con MTV Spit (ma era televisione, quindi tutta un’altra roba), di avere un supporto importante di un brand che a livello internazionale questa cosa l’abbraccia da sempre. Non è un brand che si è svegliato ieri e ha detto “voglio investire sul freestyle perché va di moda”, no. Questa cosa i ragazzi italiani guardano questa cosa della battaglia come un punto d’arrivo e vogliamo sperare che si possa aprire il panorama per offrire ancora più scelta.
Più scelta tra fare canzoni e improvvisare?
Sì, perché hai questi ragazzi che i rapper comuni, mi spiace, non sanno fare. Non c’è proprio da girarci intorno: non lo sanno fare. Il che, attenzione, non vuol dire più bello o più brutto fare i dischi o no. Però se hai questi ragazzi che sanno rappare in questa maniera così true, così spettacolare, così bella, allora merita di avere il giusto palcoscenico.
E le tue gare di freestyle?
Le mie sono sempre state un modo per farmi vedere. Non ho mai avuto il desiderio di essere il più forte d’Italia. Sapevo di essere portato, quindi ho spinto su questa cosa perché era banalmente l’unico modo per farmi vedere. Ora i ragazzi hanno milioni di modi per farsi vedere, da TikTok a Instagram, dal singolo al featuring. Ma chi sceglie di farsi strada attraverso questa strada del Red Bull Frista, dal vivo, davanti a tutti e magari al di fuori del circuito convenzionale dell’ecosistema rap, per me sfonderà sempre la proverbiale porta aperta. Il freestyle è un’alternativa sana e comunque legata all’arte stessa del rap. Se qualcuno di questi ragazzi domani avesse uno sprint, che sia nella carriera da improvvisatori o nei dischi, io sarei molto contento e questa forse è la generazione più meritevole. Perché testimonia che questa roba non è fine a sé stessa.
Tornando alla nostra digressione storica: c’è stato addirittura un periodo in cui il freestyle era quasi un passaggio obbligato prima di concedersi il lusso di registrare un disco. Altrimenti ti guardavano storto.
Se io penso a quella famosa finale del 2001, dove al Mortal Kombat si sfidarono Fabri Fibra e Kiffa, a quella battle parteciparono Dargen d’Amico, Bassi Maestro, Esa, Fibra, Inoki, Turi. Erano tutti rapper in attività, capisci? È come se ora organizzassimo una batteria di freestyle e partecipassero Kid Yugi, Guè, Lazza e Tony Boy. E il 2theBeat, senza andare indietro agli anni che furono, quindi parliamo del 2005/2006, comunque invitavano alla battle Jake La Furia che partecipava in quanto rappresentante dei Club Dogo. Come la fece anche Luchè per i Co’Sang. La gente aveva voglia di partecipare e si metteva in gioco per la battaglia. Chi se ne frega di come va, va.
Era gente che già faceva dischi ed era affermata.
Esatto, quindi la mia generazione non l’ha mai vista come una cosa a sé stante. Semmai, come un passaggio forse “dovuto” ma per il semplice fatto che ci pagavamo il disco. Negli anni post-8mile mettevano dei premi in denaro nelle battle, noi partecipavamo e le vincevamo tutte e ci pagavamo le spese di produzione e registrazione. Volevamo farci vedere, quindi andavamo dall’altra parte del Paese per stringere connection con persone, regalare il nostro demo agli artisti che incontravamo. Io oggi non so se mi farei questo sbatti. Lode a chi nel 2025, post-era trap, si vuole fare un nome con questa roba qua. E molti di questi ragazzi fidati che non hanno ambizione di fare i dischi. È una cosa che mi fa ben sperare: forse ora in Italia è una cosa che si può muovere su un binario parallelo come già succede in molte parti del mondo.
Che poi, fare i dischi non è giustamente obbligatorio.
Certo, comunque io ci spero che qualcuno di questi ragazzi lo faccia. Però è sempre stata un po’ la spada di Damocle che ho avuto anche io sulla testa per tanti anni. Infatti c’è stato un momento dopo MTV Spit - a parte che era un momento dove non avevo più nessuno stimolo di fare le gare - in cui mi sono detto proprio: ‘No, io mi devo concentrare su questa cosa perché ora ho l’esigenza di scrivere delle cose’ Il freestyle mi ha aiutato finché non ho avuto l’esigenza di dire su disco ciò che pensavo. Mi bastava improvvisare e mi andava bene. Quando però ho avuto l’esigenza di avere dei pezzi che rimanessero, la scrittura è stata la svolta. Poi è chiaro che a una certa sono tornato anche a ciò che mi viene naturale, senza sforzo, sempre col sorriso sulle labbra. E soprattutto, in maniera competitiva. Questa roba è al pari di un incontro di pugilato.
E alla fine ci sei riuscito?
Ci sono riuscito. Volevo ritagliarmi il mio spazio all’interno del mondo del rap. L’ho anche poi dimostrato coi dischi. Questo ruolo di host per me è un po’ una realizzazione perché è come tramandare una legacy. Tutta Italia deve vedere che questa cosa esiste e oggi è arrivata a un livello incredibile. Da qui si può fare tanto altro.