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Miles Davis: uno, nessuno e centomila

Sempre un passo avanti, era odiato dai puristi. Ma la vendetta è un piatto che va servito freddo
Di Marta Tripodi
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Miles Davis

Miles Davis

© [unknown]

Miles Davis è il miglior jazzista di sempre. Detta così potrebbe sembrare un'affermazione arbitraria (e anche un po' scontata), ma è stato decretato ufficialmente qualche giorno fa durante un panel organizzato da BBC Music Jazz e Jazz FM: a deciderlo sono stati 50 selezionati critici musicali, musicisti e conduttori delle due emittenti. Miles ha battuto di larga misura Louis Armstrong, Ella Fitzgerald, Billie Holiday, Thelonius Monk, John Coltrane e molti altri illustri colleghi. Ma cos'ha fatto esattamente Miles Davis per convincere i suoi contemporanei e i posteri di essere il più grande di tutti i tempi? Semplice: era sempre un passo avanti agli altri. Vale la pena esplorare l'argomento – molto superficialmente, perché non basterebbe un'enciclopedia per essere esaustivi.
È facile riconoscere un cantante grazie al timbro e al fraseggio, ma è possibile distinguere il suono di una tromba dal suono di un'altra tromba? In generale sì, ma quando si tratta di Miles Davis l'affare diventa più complicato. O meglio, in teoria il suo timbro pulito è sempre rimasto lo stesso negli anni, come ha dichiarato: “Preferisco un suono rotondo, senza alcuna attitudine, come una voce senza tremolo e senza troppi bassi. Per me è una necessità, altrimenti non riesco a suonare niente”. Il problema è stargli dietro nei suoi innumerevoli cambi di forma, stile, genere e sottogenere. Non solo ha attraversato praticamente tutte le fasi e le correnti del jazz del secolo scorso, ma negli ultimi anni della sua vita è arrivato perfino a lambire il pop e l'hip hop (che non considerava affatto musica di serie B, per la disperazione dei puristi che avrebbero preferito sentirlo rifare alla nausea Kind of Blue). Il Miles Davis degli esordi non assomiglia affatto a quello delle ultime produzioni. L'unica vera costante per lui è stato il cambiamento: neanche nei suoi periodi di maggior successo è riuscito a fossilizzarsi. Era irrequieto, ossessionato dall'alzare l'asticella di qualche centimetro ogni volta. Anche se questo gli costava feroci liti con i critici e i fan, che spesso non riconoscevano il proprio artista preferito da un concerto all'altro, non ha mai smesso di lasciarsi trasportare dall'ispirazione, ovunque essa lo portasse.
A differenza di molti altri suoi contemporanei, Miles non è nato in una famiglia povera. Suo padre faceva il dentista a Saint Louis e possedeva perfino un ranch in Arkansas: fin da bambino ha potuto prendere lezioni di pianoforte e tromba, e una volta terminato il liceo si è iscritto alla Julliard di New York, una delle più prestigiose scuole di musica del mondo. Mollerà gli studi per unirsi al suo idolo Charlie Parker e alla scena bebop, che in quel periodo faceva furore ad Harlem, mantenendosi facendo da turnista durante varie session e concerti. Nel giro di qualche anno, dopo essersi fatto un bel giro di conoscenze tra i musicisti locali, decide di mettere insieme una band reclutando nove tra i migliori di loro – tra cui alcuni bianchi, cosa che fa incazzare parecchi – e tra il 1949 e il 1950 registra una manciata di brani che si allontanano di netto dai virtuosismi del bebop. Suoni morbidi, ritmi molto più lenti, atmosfere meno nervose. Il contrasto con il suo passato recente non potrebbe essere più netto: è nato un nuovo genere, il cool jazz. E difatti quelle session di registrazione verranno unite in un album pubblicato nel 1957, Birth of The Cool.
Sul fronte creativo tutto sembra andare alla grande: Miles Davis ha appena ventiquattro anni e ha già contribuito a rivoluzionare i canoni del genere. Dal punto di vista personale, però, il discorso cambia. I critici non sembrano amarlo particolarmente, e neanche la solita America bianca e puritana: dopo un lungo soggiorno a Parigi, il rientro a New York ha un impatto devastante su Miles, che cade in depressione, diventa aggressivo e intrattabile e comincia a fare uso abituale di eroina. Riuscirà a disintossicarsi solo dopo molti tentativi, ma ormai la sua fama di persona scostante e irascibile è entrata nella leggenda, complice anche la questione della voce roca e strascicata, rovinata completamente dopo un'operazione alle corde vocali. O meglio, rovinata dal fatto che pur di non smettere di attaccare briga neanche durante la convalescenza, in cui i medici gli hanno prescritto silenzio assoluto, dopo l'intervento si mette ad urlare addosso al primo che passa.
Gli anni '50 e '60 scorrono via veloci tra collaborazioni eccellenti, nuovi sodalizi, nuovi generi (come l'hard-bop o la fusion, l'ennesimo tentativo di espandere i suoi orizzonti al di là delle aspettative del pubblico) e soprattutto il suo capolavoro assoluto, Kind of Blue, il cui titolo è un inconscio riferimento alla depressione e ai suoi demoni. Negli anni '70 altro giro, altra corsa, si cambia di nuovo e si approda ai suoi cosiddetti “electric years”. La sua fidanzata gli presenta un gruppo di amici ai tempi ancora relativamente sconosciuti: George Clinton, i Parliament Funkadelic, Sly and the Family Stone, che saranno di grande ispirazione per diversi album di quella decade. Il richiamo del funk, del rock e della psichedelia si fanno sentire in maniera sempre più prepotente, tanto che pur essendo già una superstar accetta di dividere il palco con artisti ai tempi emergenti, come Carlos Santana, Steve Miller Band, Grateful Dead o Neil Young, nella speranza di trovare nuovi stimoli. La sua idea è semplice, ma rivoluzionaria: riavvicinare le giovani generazioni ai groove afroamericani, tentando di svecchiare il suo stile e di renderlo più accattivante anche per chi non abbia un background prettamente jazz. Naturalmente anche questa volta la critica non la prende benissimo, e neanche il suo pubblico: nella sua autobiografia Miles affermerà che la colpa è in parte alla miopia della sua casa discografica, che ha cercato di vendere gli album di quel periodo ai suoi vecchi fan anziché a un'audience più fresca e aperta.
Gli anni '80 per Miles Davis sono funestati da problemi di salute, da una ricaduta nelle sue dipendenze e da una pausa di tre anni in cui, oltre a non pubblicare materiale nuovo, passa addirittura settimane intere senza toccare la sua amata tromba. Quando finalmente torna sulle scene – indovinate un po'? – non è certo per dare ai fan quello che vorrebbero da lui. Il suo percorso sperimentale e travagliato continua fino all'ultimo, passando anche per exploit piuttosto improbabili, come una comparsata in un episodio di Miami Vice nel ruolo di un pappone. Il jazz, ormai, per lui è solo un approccio, un modo di fare: come sound, gli sta decisamente stretto. Comincia ad attingere a piene mani dalle novità musicali di quei tempi: collabora con band post-punk e new wave, incide le sue versioni di Time After Time di Cindy Lauper e Human Nature di Michael Jackson. Realizza perfino un album ispirato all'hip hop, Doo-bop, che uscirà postumo. Questo suo eclettismo gli vale una nuova pioggia di critiche, stavolta anche da parte di colleghi come l'allora giovanissimo Wynton Marsalis, colui che più tardi passerà alla storia per la sua affermazione piuttosto discutibile “Il rap non è musica”. Alle sue accuse di non fare più vero jazz, Miles risponderà lapidario: “Wynton è un giovanotto molto simpatico, è solo un po' confuso”. Purtroppo non vivrà abbastanza per vedere il frutto di quest'ultima sua visionaria contaminazione: morirà nel 1991 a 65 anni, per complicazioni che puntano verso l'AIDS, anche se la tesi non è mai stata confermata. Se oggi fosse ancora vivo, forse avrebbe provato a prendere qualcosina anche dall'UK Garage o dalla dubstep, chissà.
A quasi 25 anni dalla sua scomparsa, è praticamente impossibile trovare un musicista che non citi Miles Davis tra i suoi riferimenti e le sue grandi fonti di ispirazione. Definirlo un semplice jazzista è riduttivo: è la quintessenza della musica moderna, e il suo continuo rinnovarsi e cercare nuovi stimoli hanno dettato (ahimè, troppo tardi) uno standard che ormai giustamente pretendiamo dai nostri artisti preferiti.
Per saperne di più su Miles Davis, puoi:
Ascoltare la sua discografia completa (ivi compresi gli album di solito considerati minori, che spesso sono quelli più sperimentali e interessanti per un ascoltatore moderno e curioso)
Leggere la sua autobiografia, in Italia tradotta da Minimum Fax
dare un'occhiata al suo sito internet ufficiale, gestito dalla famiglia Davis e sempre aggiornato sulle iniziative in sua memoria o sul tipo di musica che lui approverebbe se fosse ancora qui
Aspettare la primavera 2016 per il film biografico Miles Ahead, scritto, diretto e interpretato da Don Cheadle, già in odore di Oscar.