È il 1995 quando sulle più famose note di sempre della musica black si apre il primo video di Supreme. A girarlo sono Thomas Campbell e Jason Diamond, e a far da colonna sonora ci penserà John Coltrane. Già il titolo era emblematico: “A Love Supreme”. Le immagini, in bianco e nero, raccontano una New York molto diversa da quella che siamo abituati a vedere. Se ne erano andati da poco Basquiat e Haring, che avevano contribuito in maniera intensiva alla rinascita culturale della città, Biggie aveva appena rilasciato “Ready to Die”, e l’hip hop viveva la sua golden age.
Un anno prima, in un piccolo spazio di Lafayette Street, nato e formato in Inghilterra ma di origini americane (dove tornerà a vivere) James Jebbia aveva aperto Supreme, prendendo a prestito font e idea per la realizzazione del logo da Paul Kenner e Barbara Kruger. L’idea era mettere in piedi un posto dove skater e artisti che gravitavano in quell’orbita potessero sentirsi a casa. Nasce più o meno così uno dei più iconici brand di skatewear e streetwear di sempre, protagonista di una parabola strana, forse non prevedibile. L’abilità di Jebbia è stata sempre la capacità di dare una connotazione culturale a quello che stava facendo, aperta ma elitaria. In una delle poche interviste concesse alla stampa, al New York Times, Jebbia metteva spiegava la sua visione sulla distribuzione del marchio (che non viene distribuito se non nei negozi Supreme e nel webshop): «Se un ragazzino di 9 anni del New Jersey vuole una maglia di Supreme perché l’ha vista a Kanye West mi sta bene. Ma deve entrare in contatto con la sensibilità urbana di Supreme, e capire in che modo si interseca con il mainstream».
Non è un caso che parlando di Supreme si finisca a parlare in un modo o nell’altro di musica. Sia ai tempi della sua nascita, sia negli anni della sua diffusione, la musica e gli artisti hanno giocato un ruolo fondamentale. Tyler, the Creator disse una volta che Supreme rappresentava «un piccolo gruppo, una società segreta»: era il 2010, l’anno del celebre tweet in cui si prendeva il merito della diffusione capillare della tee e dei cappellini Supreme. Non è facile dargli torto: Tyler era la persona giusta (molto giovane, skater e punk come attitudine) al momento giusto (quello in cui i rapper entravano nella moda e il rap nelle classifiche) per diventare in qualche modo il volto pubblico non ufficiale del brand.
Eppure tra Tyler e Supreme non c’è mai stato nulla di più di una pubblica ammirazione, nessuna collaborazione o collezione ufficialmente rilasciata. Supreme ha fatto della musica una delle sue principali ispirazioni, scegliendola spesso come veicolo principale per la sua idea di abbigliamento, direttamente collegata alla divulgazione della cultura skate. Dai commercial con i Three 6 Mafia fino a quelli con Gucci Mane, passando per “cherry”: una serie di video che ha rappresentato al meglio il “mash-up culturale”, come definito da Antonhy Pappalardo su Green Label, che Supreme ha sempre proposto e continua a proporre, annoverando i contributi di Jason Dill, Raekwon e Pablo Diaz.
La storia di Supreme passa quindi anche per le sue collaborazioni e release legate al mondo musicale, alcune delle quali così iconiche da segnare trend e intere ere di streetwear.
Supreme Rap
Le incursioni di Supreme nel mondo dell’hip hop sono forse le più numerose dell’intera gamma musicale del brand, e non solo per quanto riguarda le collezioni. Circolano in giro due mixtape che J Rocc realizzò per il brand, uno a Tokyo e l’altro in occasione dell’apertura dello store di Los Angeles. Sono due mixtape ricche di chicche imperdibili, vere e proprie colonne sonore skate che andavano di pari passo con l’identità del brand. Il biennio 2004/2006 è stato il più prolifico, e quello che ha visto alcune delle release che avrebbero fatto la storia del brand. Nel 2005 in particolare, Supreme comincia a collaborare in maniera più o meno stabile con il Wu Tang Clan, e il frutto di questa collaborazione sono due tee: quella con il faccione di RZA (che sarà protagonista anche della cover di una rivista di Surpeme) ben visibile in primo piano, un omaggio al leggendario artista che rese il Wu Tang una superpotenza del rap USA, e l’altra con Raekwon, il suo bodyguard e Tickle Me Elmo. Questa tee fu la prima “Photo Tee” della storia di Supreme, e si inseriva in una serie di release che il brand aveva preparato per supportare la release di “Only Built 4 Cuban Linx II”.
Ma non c’è stato solo il Wu Tang nella storia di Supreme: il primo gruppo rap ad arrivare sulle maglie di Supreme furono gli NWA, disegnati sulla “Fuck the Police” tee del 2001. Seguirono i Dipset, i Public Enemy, i Three 6 Mafia e Joe Cool (artefice grafico del miracolo G-Funk) fino all’ultimissima capsule con la Rap-A-Loot Records. Tra le più amate c’è stata la collaborazione con la Bad Boy Records per le “Ready or Die” tee in onore di Notorious BIG, con rappresentata la celebre cover del disco. E poi ancora la capsule collection con Krs-One e la tee con la band Capone-N-Noreaga, duo del Queens magari sconosciuto ai più, ma che lasciò più d’una traccia nel periodo gangsta-rap, in particolare come contrapposizione ai fenomeni che provenivano dalla costa West.
Merita di essere menzionata, specialmente in relazione alla stringente attualità, la t-shirt che Supreme realizzò per “celebrare” l’uscita di galera di Prodigy, una delle figure più controverse e importante del panorama rap cittadino, accompagnata da un breve ma significativo video.
Supreme Jazz (& Soul)
L’amore tra Supreme e il jazz (e il soul) era chiaro sin dagli arbori del marchio, da quel celebre video di cui parlavamo in apertura. Nel corso della sua storia, il brand c’ha tenuto sempre di più a consolidarsi nella posizione di driver della cultura jazz nello streetwear, un concetto sotto molti punti di vista rivoluzionario, e che per attecchire aveva ovviamente bisogno dei suoi protagonisti principali. Passato quindi 14 anni prima che Supreme decida di dedicare una capsule collection a John Coltrane, con tre modelli differenti, uno dei quali riporta la foto da cui è estratta la copertina di “A Love Supreme”.
Supreme non mancò di omaggiare neanche l’altro gigante della storia del jazz, quello che nella nota che accompagnava la release veniva definito come il “più influente musicista della storia”: Miles Davis. Nel novembre del 2008 infatti, per celebrare i 50 anni dall’uscita di “Kind of Blue”, album che riscrisse i canoni del jazz contemporaneo, Supreme – insieme a Sony e alla Miles Davis Foundation – decise di realizzare una delle sue più storiche release: tre cd, contenenti tre dei migliori album di Davis (“Kind of Blue”, “Nefertiti” e “On The Corner”) accompagnati da un pari numero di tee. L’uscita – un vero e proprio cimelio per gli appassionati – serviva ad affermare una volta di più l’attenzione maniacale del brand per qualcosa che andasse al di là del semplice concetto di streetwear, che si facesse portatore sano di una cultura. Quando si cerca di spiegare il fenomeno Supreme è a questi tipi di operazioni che si dovrebbe guardare, più che all’hype generato dalla moderna generazione di hype-kidz o alla star di turno. Non ci sono trucchi nell’ascesa di Supreme, se non una conoscenza del proprio mondo e una voglia di costruire una comunità che parlasse la stessa lingua fuori dal normale.
Completavano il quadro gli omaggi a Isaac Haynes nell’anno della sua morte (e uno seguente alla Stax Records) e quello a Curtis Mayfield con una foto estratta da "SuperFly", senza dimenticare la sempiterna James Brown tee. La creazione più recente invece è quella dedicata a Sade, la regina del soul, rilasciata lo scorso febbraio in occasione della S/S 17 con la stampa di una vecchia foto di Sade scattata da Ellen Von Unwerth per la Epic Records.
Piccola nota a margine inserita qui per questioni di praticità: tra i “generi” da cui Supreme ha preso ispirazione non bisogna dimenticare la matrice reggae, da Lee “Scratch" Perry alla etichetta Wackies, fino a cose più underground e cross-over con il rap come i Bad Brains.
Supreme Rock
In una intervista concessa a i-D (magazine che consumava ossessivamente da ragazzino), Jebbia rivela qual è stato secondo lui il momento di svolta per Supreme: «Quando abbiamo fatto il poster di Lou Reed scattato da Terry Richardson. Prima di quello c'era una percezione di cosa poteva essere un brand come Supreme e quello che rappresentavamo per molte persone, per lo skate e l'hip-hop. Nella mia testa però non era solo quello. Quando abbiamo lavorato con Lou Reed le persone hanno riflettuto su cosa si trattasse. Per noi aveva perfettamente senso, era un musicista fantastico ed era un ribelle. Ci ha permesso di fare altre cose che non ci si aspettava da un brand skate/streetwear, in un modo che ci lasciava andare in altre direzioni se e quando lo volevamo e sarebbe stato comunque genuino e naturale». La “Photo Tee” con Lou Reed ci introduce in uno dei capitoli più controversi e importanti della storia musicale di Supreme, quello del rock (N.B. “rock” va inteso come mega-contenitore, una semplice etichetta utile a fini editoriali e non musicali).
Non è un mistero che lo stesso Jebbia, che come detto crebbe in Inghilterra, fosse un fan del punk: in questo contesto vanno inserite le partnership con Malcolm Mclaren (nel 2009) e quella con i The Clash l’anno dopo. Altri due momenti sono essenziali per la comprensione del fenomeno Supreme: gli scatti a Neil Young, vera e propria icona del genere e mito di Jebbia, e il riuscitissimo tandem con i Misfits, il cui leader Danzig era particolarmente amato dalla comunità skate. Impossibile non menzionare la capsule che Supreme realizzò nel 2016 in occasione dell’inizio del world tour dei Black Sabbath, che comprendeva alcuni pezzi diventati motivo di vanto per chi è riuscito ad accaparrarseli.
Risale invece allo scorso anno la "polemica" relativa alla collaborazione di Supreme con gli Slayer, alimentata dall’estetica del gruppo. Come fa notare Gregk Foley, in un pezzo su Highsnobiety, la cosa aveva perfettamente senso, e non solo perché gli Slayer erano presenti nei mixtape skate già dai tempi di Mark Gonzales, ma per il messaggio di ribellione e disprezzo del potere che questi hanno sempre portato avanti.
Supreme Pop
Contrariamente a quanto pensa qualcuno Supreme non ha mai prodotto alcuna shirt in collaborazione con Lady Gaga, realizzando solo il celebre servizio fotografico con Terry Richardson per Purple Magazine. L’eco della notizia risuonò per diversi mesi tra incomprensioni e delusioni dei fan della prim’ora, garantendo comunque a Supreme una visibilità nuova e aperta a un pubblico diverso, e a Gaga qualche punto di street-cred. Qualche mese dopo Supreme replicò l’incursione pop con una provocatoria shirt dedicata a Britney Spears, quando l’oramai ex reginetta del pop mondiale stava vivendo non il miglior momento della sua carriera (per così dire). Più recente e più apprezzata è stata invece la release di Supreme dedicata a Michael Jackson, rilasciata con un editoriale scattato a Roma.
Tra le collaborazioni peggio riuscite di Supreme lo scettro va sicuramente a quella con Morrissey. Non tanto per l’effettiva riuscita della tee, una “Photo Tee” del leader degli Smiths, quanto per gli strascichi che la vicenda si è portata dietro. Pare che a un certo punto della loro relazione Morrissey sia venuto a sapere che Supreme aveva collaborato una volta con White Castle, nota catena di fast-food degli States, e la cosa non era andata giù a Morrissey, vegetariano e in prima linea per la salvaguardia degli animali e per la battaglia contro il loro sfruttamento. Supreme non prese molto bene le critiche, e dopo il rifiuto di Morrissey di raggiungere un accordo sulla faccenda, decise di esporre i cartelloni con il volto del cantante mettendo in vendita le tee, che diventò un successo immediato.
Questo excursus di collaborazioni e omaggi – a cui vanno aggiunti alcuni dei personaggi più iconici della cultura pop, da Mike Tyson a Kate Moss – serve a ricordare quanto prima di tutto culturale sia il lavoro cominciato da Supreme nel 1995, e come abbia poco o nulla a che vedere con l’immagine che alcuni hanno del brand. La lista non si fermerà, e già dal prossimo anno dovrebbe arricchirsi della “Photo Tee” di Nas, che pareva dovesse uscire nel 2013 e che farà quasi certamente parte della prossima collezione F/W 17: per Nas si tratterà di un “ritorno” in Supreme, dopo che Damien Hirst aveva proposto il suo “Life’s a Bitch and then you Die”. Non si fermerà perché è insito nella natura del brand provare a educare il pubblico a una apertura culturale e (perché no?) musicale che significhi qualcosa di più di una semplice tee.