"In Utero", cover
© "In Utero", cover
Musica

What The FAQ: "In Utero" dei Nirvana compie 25 anni

Il 21 settembre 1993 usciva l'unico album di cui Kurt Cobain è mai stato davvero fiero
Di Claudio Biazzetti
6 minuti di letturaPubblicato il
"In Utero" non è soltanto il terzo e ultimo album dei Nirvana: è forse l'unico di cui Kurt Cobain andava davvero fiero. All'epoca dell'uscita, esattamente 25 anni da oggi, furono in molti a lamentarsi del suo suono cupo, inadatto a fare da sequel al successo commerciale di "Nevermind". Ma quello che poco più tardi capiranno tutti è che "In Utero" rimane l'istantanea più fedele del reticolo mentale di un artista geniale, ma perennemente braccato da sé stesso. Con la consueta formula delle Frequently Asked Questions, rispondiamo alle domande più interessanti dell'album.

Com'è nato?

La genesi di "In Utero" avviene nella fase che ogni artista sogna di vivere, ma in cui nessuno poi vorrebbe mai trovarsi. Dopo "Nevermind", il secondo album, per magia il mondo viene a conoscenza dell'ecosistema grunge di Seattle. Di colpo, frotte di teenager americani con addosso la camicia di flanella oversized del padre prendono d'assalto i loro garage per scimmiottare il riff iniziale di "Come As You Are". I Nirvana sono i principali responsabili di ciò, eppure molto presto finiscono per rinnegare il disco stesso.
In un'intervista del 1992 con Rolling Stone, Cobain appioppa un severo "monodimensionale" a "Nevermind", assicurando che il prossimo sarà un gioco di estremi, vale a dire «più crudo in alcuni pezzi e più pop sdolcinato in altri.» Poco importa se il candy pop alla fine non si materializzerà mai, mentre invece l'odio per "Nevermind" si farà ancora più aspro col passare del tempo: «È troppo viscido», si sfoga Kurt con Jon Savage a proposito di "Nevermind" in un'intervista del 1993 fatta proprio in occasione dell'uscita del terzo album. «A casa non ascolto dischi come quello, non riesco proprio ad ascoltarlo. Mi piacciono molte delle canzoni, mi piace anche suonarne qualcuna dal vivo. Dal punto di vista commerciale penso sia un ottimo album, devo ammetterlo. Però è stata una paraculata. Per il mio gusto personale, è troppo viscido».
E così, per smarcarsi definitivamente da un suono piatto e scomodo, ma che li aveva comunque resi famosi, i Nirvana un bel giorno del gennaio 1993 alzano la cornetta per chiamare Steve Albini, produttore osannato nella scena alternative americana, nonché ex frontman della formazione noise Big Black. Sono mesi che ci provano, ma Albini rifiuta sempre.

A cosa si ispira l'album?

Kurt sa bene perché vuole proprio Albini, essendo di quest'ultimo la firma su due dei suoi dischi preferiti: "Surfer Rosa" dei Pixies e "Pod" dei Breeders. Albini ha fama di essere un mezzo cane come fonico di mix, ma in compenso una katana a microfonare strumenti e catturare gli ambienti naturali della stanza senza l'uso di grossi effetti. In precedenza, per commentare i rumour su una possibile collaborazione, il produttore si era smarcato definendo la band "degli R.E.M. con una pedaliera". Eppure, la storia parla chiaro, ben presto Albini non solo accetterà di produrre il disco dopo aver ricevuto alcune demo registrate dai Nirvana in un tour in Brasile, ma si premurerà pure di far avere alla band una copia di "Rid Of Me" di PJ Harvey, cioè l'esempio da seguire per l'acustica di "In Utero".
Nell'istante dell'intervista in cui Jon Savage definisce «claustrofobico» "In Utero", Kurt alza le mani in segno di approvazione. «La principale ragione per cui abbiamo registrato l'album con Steve è che è in grado di farti sembrare che la band stia in una stanza non più grande di quella in cui siamo ora», dice il cantante. «In Utero non suona come se fosse stato registrato in una hall, o come se volesse sembrarti epico. È dritto in faccia e vero». D'altronde, come potrebbe un disco con un titolo simile rimandare a un suono aperto e libero? "In Utero" rimanda in tutto e per tutto all'ambiente ovattato di un grembo materno. E l'immagine di copertina, unita ai feti presenti nel collage all'interno del disco (realizzato da Kurt) non fanno che aumentare questo senso di riparo da tutto e tutti, forse anche dall'aria e dalla libertà di movimento. In più, il brano "Pennyroyal Tea" si ispira all’omonima varietà di menta (menta poleggio, in italiano), il cui infuso in dosi elevate indurrebbe l’aborto.
Albini sceglie di registrare la band in presa diretta, senza particolari sovraincisioni successive: «La band si è preparata per suonare tutto dal vivo», racconta Steve di quelle sessioni in un’intervista con PSNEurope. «Conoscevano bene il materiale da registrare, quindi non c’è stato pressoché niente da comporre o arrangiare sul posto». Ciò che stupisce di più Albini, che non è proprio un novellino, è come Kurt registra le linee di voce. «Per farla breve, si è seduto e in una sessione ha registrato l’intero album. Ha fatto un paio di prove sui microfoni e poi l’ha cantato tutto in una volta». Per essere più sicuro di sé, Kurt deve sempre tenere in mano qualcosa mentre registra le voci. All’inizio, l’oggetto scelto è un bastone della pioggia, ma il rumore che ne deriva finisce per inquinare troppo la voce e ben presto il cantante rinuncia. «Ma poi ha preso in mano una chitarra acustica rotta», racconta Albini. «Ed è tuttora il suono di sottofondo che si sente nel disco».

A chi si rivolge il disco?

Se c'è un artista nella musica degli ultimi 30 anni, che per definizione non ha interesse a “rivolgersi a qualcuno”, quello è proprio Cobain. Kurt si sgola per cercare di liberarsi di una rabbia recondita, profondissima, di cui però non ha mai fatto mistero. «La maggior parte delle volte canto dal mio stomaco, proprio da dove viene il dolore», confida a Jon Savage, qualche mese prima di porre tragicamente fine alle proprie sofferenze. «Ma è psicosomatico, è tutta rabbia. E urla. Il mio corpo è danneggiato dalla musica in due modi: non solo il mio stomaco è infiammato dall’irritazione, ma ho anche la scoliosi. Ce l’avevo in forma lieve da piccolo, e crescendo con una chitarra in mano ho solo peggiorato la situazione». Nonostante il successo commerciale, i Nirvana non sono un prodotto studiato a tavolino per assicurarsi un determinato target di ascoltatori. Ma questa rabbia è inevitabile che troverà molto più terreno fertile negli adolescenti.

Quante persone ci hanno lavorato?

Durante le due settimane di registrazione al Pachyderm Studio di Cannon Falls, Minnesota, i tre membri dei Nirvana coinvolgono altri due fonici coi rispettivi aiuti fonici (proprio perché Albini, dicevamo, non è un grande artista del mix). Anche Pat Smear, quello che viene informalmente definito il quarto Nirvana, partecipa alle registrazioni in veste di seconda chitarra e seconda voce. Su "All Apologies" e "Dumb" poi, si sente il violoncello cupo di Kera Schaley.

Quanto ha venduto il disco?

Nella prima settimana di uscita, "In Utero" vende circa 180mila copie. Non un successo equiparabile a "Nevermind", ma comunque una cifra mostruosa se teniamo conto che si tratta pur sempre di alternative rock/grunge. Negli anni successivi, incluse le ristampe e le anniversary edition, il disco venderà un totale di 15 milioni di copie in tutto il mondo. Su Discogs, i prezzi del doppio vinile si aggirano fra i 20 e gli 85 euro.