Bohemian Rhapsody
© 20th Century Fox
Musica

Q&A: Perché ci sono così tanti biopic musicali?

Le candidature multiple di "Bohemian Rhapsody" sono solo l'ultima prova: i biopic musicali piacciono a tutti, ma perché?
Di Francesco Abazia
6 minuti di letturaPublished on
Il successo ai Golden Globe e le nomination agli Oscar e un premio per Rami Malek come Miglior Attore Protagonista: "Bohemian Rhapsody” ha passato a pieni voti l’esame degli Awards, nonostante una critica poco benevola, che in più occasioni ha definito il film troppo didascalico («in pratica una infarinatura iniziale di Wikipedia sui Queen», secondo Pitchfork) e per certi versi agiografico verso la figura di Freddie Mercury.
Tuttavia, il successo del biopic sulla vita del cantante dei Queen è stato sancito anche dal botteghino: come riportato da Quartz infatti, “Bohemian Rhapsody” è il biopic musicale più remunerativo della storia del cinema, con 176 milioni di dollari incassati nella prima settimana a fronte di 50 milioni di budget. Superato pure “Straight Outta Compton”, il biopic sulla vita degli N.W.A. diretto da Gary Gray, che nel 2015 totalizzò 161 milioni di dollari. Il successo di “Bohemian Rhapsody” però non è isolato. Il biopic musicale sta rivivendo una vera e propria epoca d’oro: sono in arrivo “Rocketman”, il biopic su Elton John, poi “Stardust”, su David Bowie e pure “The Power of Love”, su Celine Dion, oltre a quello sui Mötley Crüe, in uscita a marzo su Netflix.
Secondo la critica cinematografica dell’Observer Wendy Ide, dietro questo inaspettato ritorno potrebbe esserci proprio lo il principale strumento di diffusione musicale, lo streaming. «I film vendono la musica, e la musica è strumento di marketing per i film», scrive la Ide, aggiungendo poi che nel caso dei Queen, il film doveva servire come «veicolo per introdurre le loro canzoni a una nuova audience». I biopic sarebbero dunque il modo perfetto per gli artisti per rimpossessarsi della loro musica, ora che gli streaming paiono farla da padroni. Ma prima di tutto, serve capire cos’è un biopic musicale.

Cos’è un biopic musicale?

La risposta più semplice è che i biopic sono film sulla vita di grandi star musicali. Andando però ad approfondire la definizione e provando a tracciare un fil rouge tra i diversi biopic, si arriva ad una prima distinzione fondamentale, definita da Jesse Keith Schlotterbeck: quella tra biopic musicali classici - che arrivano fino alla musica degli anni ‘60 - e quelli dell’era post-studio, e cioè quelli che coincidono «anche con sviluppi culturali e tecnologici come l’emersione della televisione, l’invenzione dei 45 giri e degli LP, entrambi con un certo grado di influenza sulla diffusione del rock come genere musicale dominante». L’emersione dei biopic musicali di era post-studio, che Schlotterbeck fa culminare in due cult dei primi anni duemila come "Ray" - biopic sulla vita di Ray Charles - e "Walk The Line" - sulla vita di Johnny Cash, nascono anche come reazione al musical e, come scritto da Michael Dunne nel suo libro “American Film Musical Themes and Forms”: «da un diffuso rigetto verso i numeri tradizionali dei numeri dei musical, basato sulla resistenza all'idea “il mondo è il palco” che è poi la premessa di molti musical tradizionali».
Ma non solo, i biopic musicali sono anche quelli caratterizzati da trame standard, fatte di ragazzini di grandi talenti che nascono in contesti rurali o poveri, che subiscono qualche trauma infantile, poi diventano famosi, hanno accesso alla popolarità, rovinano tutto in qualche modo per poi redimersi e tornare alla gloria. Se vi sembra di averla già sentita, è perché effettivamente l’avete fatto.
Walk the Line

Walk the Line

© Fox

Quali sono i più celebri biopic musicali?

Quella attuale non è l’unica “era d’oro dei biopic musicali”. Ce ne sono state almeno altre due. La prima coincide con i due film sopracitati, "Ray" e "Walk the Line", che hanno definito per anni un intero genere, settando l’asticella molto in alto. Nel 2015 poi, è stata volta dell’ondata di biopic musicali classici - alcuni molto redditizi come “Straight Outta Compton”, altri meno, come “Love & Mercy”, sulla vita di Brian Wilson, cantante dei Beach Boys - a cui si sono aggiunti quelli in stile documentaristico, come “Amy” e “What Happened Miss Simone?"; l’esplosione di Netflix e di tutte le piattaforme ad essa assimilabili hanno certamente influenzato ulteriormente il processo. Tra i migliori, o comunque tra i più ambiziosi, vale certamente la pena ricordare “Io non sono qui”, biopic sulla vita di Bob Dylan, e “Sid e Nancy”, progetto atipico sulla vita di Sid Vicious - leader dei Sex Pistols - e Nancy Spungen. Ma la lista è davvero lunga e comprende un’altra annata particolarmente fortunata, quella del 2007, con “Control” - sulla vita di Ian Curtis - e “La Vie En Rose” che riscossero un discreto successo.
È emblematico notare come - film sugli N.W.A. a parte - siano sempre stati i biopic “rock” ad essere maggiormente apprezzati (quelli rap, come “Notorious” sono sempre andati abbastanza male) con qualche incursione del jazz, come ad esempio “Miles Ahead” con Don Cheadle, parte della fertile annata del 2015. Tuttavia, nonostante l’evidente amore di Hollywood per il particolare genere, si è sviluppata negli anni una particolare modalità per definire i biopic musicali, parte di quella che Damien Chazelle definisce «maledizione dei biopic», ed è “mediocre”. Eppure a tutti sembrano piacere i biopic.
Rocketman

Rocketman

© Still from "Rocketman" Trailer

Perché ci piacciono i biopic musicali?

Una bella risposta è contenuta in un pezzo scritto da Matt Warren su FilmIndipendent: «Credo che ci siano così tanti biopic musicali - e che piacciano al pubblico - anche perché in fondo sono tutti simili. In qualche assurdo modo, questa uniformità aiuta a capire cosa rende ciasciun artista unico». L’idea è quella di un prodotto in qualche modo molto confortevole, attraverso cui lasciarsi intrattenere - spesso in maniera agiografica - riascoltando la storia del proprio artista preferito, o condensando in un’ora e mezza un piccolo bignami di un artista che, grande o grandissimo che sia, ha comunque fatto qualcosa nella vita per meritarsi un film. Per Sean O’Neal di Vulture invece, sta tutto nella tranquillità che un biopic musicale - così come il genere più ampio nel quale va a inserirsi - trasmette all’audience, pronta ad esclamare «questo è il momento in cui Freddie diventa famoso!».
Inoltre i biopic musicali danno l’illusione che la vita tremendamente monotona dei musicisti sia in realtà come appare sullo schermo, in bilico tra l’emozione e la follia. Il tutto condensato in un prodotto PG-13 (cioè sconsigliato per bambini sotto i 13 anni non accompagnati da genitori): un'impresa impossibile, che continua però a produrre materiale importante per Hollywood. Certo, “Bohemian Rhapsody” non può condensare la vita di Freddie Mercury in due ore di immagini adatte ai bambini, ma questa è un'altra storia.