La redazione di Freeda
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The Work Behind: Freeda

Cosa c'è dietro al lavoro del media brand al femminile: il video di una giornata con Freeda
Di Valerio Mammone
6 minuti di letturaPubblicato il
Alle 9 e 30 del mattino la redazione di Freeda è più trafficata della tangenziale ovest di Milano: chi entra, chi esce, chi sale, chi scende. Qualcuno si infila in un angolo a sinistra e ne esce con fare furtivo: «Piacere sono Mattia». È Mattia, il protagonista di questo video. Ha una Go Pro in testa e non riesce a parlare perché ha appena addentato un pezzo di brioche. Dietro di lui ci sono un fonico, un videomaker, l’art director e l’autore del video che stiamo per girare. Sono solo le 9 e 30 del mattino e vanno tutti a mille.

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The Work Behind: Freeda

Il team di Freeda è così come te lo immagini scorrendo il newsfeed di Facebook o di Instagram: ragazze (tante), ragazzi (meno, ma ci sono), giovani, sveglie, preparate, con tanta voglia di fare, crescere, sbagliare. Se ne stiamo parlando, però, è perché di sbagli finora ne sono stati fatti pochi: un milione e 300mila follower su Facebook, 560mila su Instagram e migliaia di interazioni per ogni post. Dopo aver trascorso qualche ora nella redazione di Freeda e aver conosciuto buona parte del team, proviamo a raccontarvi il dietro le quinte di questo “webzine” di successo, che non ha un sito navigabile (ma solo una landing page), vive su Facebook e Instagram, e che ha saputo fare della propria idea di “femminismo inclusivo” un brand da esportare in vari Paesi.
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Quando c’è bisogno di energia

In Italia ci sono almeno una trentina di femminili, tra riviste, blog e magazine online. Per aprirsi un varco in questo settore piuttosto affollato Freeda ha deciso di andare controcorrente e di fare quello che pochi altri femminili fanno: far sentire le proprie lettrici libere di essere se stesse: «Gran parte dell’editoria femminile – dice Daria Bernardoni - si basa sulla costruzione di modelli irraggiungibili, generando insicurezze, invidia, gelosia e competizione. Noi, invece, vogliamo celebrare le donne mettendole tutte sullo stesso piano». Daria ha 32 anni, è laureata in filosofia ed è diventata responsabile editoriale di Freeda dopo aver lavorato per BookRepublic, Yahoo e Microsoft. Il suo compito, in una prima fase, è stato quello di tradurre la mission di Freeda in una strategia editoriale: «Per prima cosa – spiega – abbiamo scelto di assumere un tono di voce inspiring e autoironico, adatto a veicolare i nostri valori di riferimento: realizzazione femminile, valorizzazione dello stile personale e della sisterhood (collaborazione fra donne, ndr)».
I contenuti pubblicati su Facebook e Instagram sono la naturale espressione di queste scelte stilistiche e valoriali: «Le immagini e le illustrazioni che pubblichiamo – spiega Daria – sono dedicate ai difetti, come la cellulite, le smagliature, i nei, le cicatrici. Scegliere questi dettagli significa celebrare una cosa vera e aiutare le ragazze ad accettarsi per ciò che sono, con autoironia». L’identità grafica, nata da una visione di Micol Talso e interpretata dall’illustratrice e fotografa Bianca Buoncristiani, completa il quadro. Se oggi Freeda è un brand riconoscibile a un primo rapido sguardo, gran parte del merito è loro.
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C'è poco tempo e bisogna fare presto

Freeda parla alla ragazze di età compresa fra i 18 e i 34 anni: in questi sedici anni ci sono due generazioni diverse (Millennials e Generazione Z) e due pubblici diversi che richiedono una programmazione varia e serrata, declinata in vari linguaggi e formati (testo, video, Instagram Stories, illustrazioni, fotografie). I contenuti ruotano intorno a 4 macrotemi - fashion, food, travel e beauty - ma il vero pilastro editoriale è costituito dalle storie: storie di donne “normali”, che sono riuscite a realizzarsi lanciandosi con fiducia e determinazione nei propri progetti, e storie di donne famose, catturate nella loro dimensione più intima e umana. «Il primo format si chiama Woman Crush ed è dedicato alle donne che incarnano i valori di Freeda: la ragazza celiaca che voleva fare la pasticcera e si è inventata i dolci per celiaci, la ragazza che voleva creare un ambiente basato sulla cortesia e la fiducia ed è diventata la portinaia di un intero quartiere. Sono donne “di successo” perché ognuna di loro ha raggiunto il proprio obiettivo.
Il secondo format si chiama “Freeda Mix”: uno degli ultimi episodi lo abbiamo dedicato alla cantautrice Levante, che ci ha aperto la sua porta di casa, ci ha cucinato una torta, ci ha portate in giro. Quando il personaggio è famoso, lo stile filmico è molto più empatico e porta lo spettatore a vedere Levante come un’amica. In questo modo – spiega Daria – creiamo un ipotetico piano orizzontale, in cui tutte le donne di Freeda si sentono allo stesso livello e fanno gruppo».

Perché lavorare di più quando puoi lavorare meglio

La giornata in Freeda comincia più o meno così: «Ogni mattina – racconta Daria – scegliamo i temi, gli eventi e le personalità da raccontare. Sulla base di queste scelte la redazione presenta delle proposte, che valuto insieme alla responsabile della produzione, Linda Aliberto». Le proposte accettate vanno ad aggiungersi ai progetti già in corso, in un work in progress continuo, che non conosce pause: «Contare tutti i format che realizziamo è impossibile», dice Daria. «Soltanto su Facebook pubblichiamo almeno sette format e quattordici video a settimana. Poi ci sono gli articoli, le illustrazioni, le Instagram Stories». Ogni format ha alle spalle un team composto da varie figure - autori, redattori, illustratori, art director, filmmaker, programmatori e specialisti dei social media – che curano ogni aspetto, dalla ricerca delle storie all’analisi dei dati sulle interazioni degli utenti con i contenuti pubblicati su Facebook e Instagram. «Una cosa bella in Freeda – dice Daria – è che c’è molta contaminazione fra diverse professionalità: a differenza di realtà più consolidate e strutturate, ognuno è libero di dare il proprio contributo».

Il successo è un lavoro di squadra

Il gruppo è la chiave del successo. E in Freeda di gruppi ce ne sono due. Il primo è il team, composto in prevalenza da ragazze e ragazzi under 30 «che hanno voglia di imparare, di crescere e di mettersi sempre in discussione». Il secondo è il pubblico, che ha trovato in Freeda un modello dal quale trarre ispirazione. In un anno e mezzo questi due gruppi si sono fusi in una comunità grande e affiatata, che condivide la stessa visione e gli stessi obiettivi: «Nella maggior parte dei femminili i contenuti sono progettati dagli uomini. La nostra redazione, invece, è simmetrica all’audience: siamo ragazze che creano contenuti per altre ragazze. La soddisfazione più grande – conclude Daria - è leggere i messaggi delle nostre lettrici: alcune di loro hanno cominciato a fotografare i propri “difetti” – smagliature, lentiggini, nei – e a condividerli con noi con l’hashtag #girlpower”».